Tag: terapia dialettico comportamentale

  • La base teorica del DBT Skills Training

    La teoria biosociale alla base del DBT Skills Training

    DBT Skills Training

    La base teorica del DBT Skills Training

    Alla base di un metodo c’è sempre una teoria

    di Emanuele Fazio

    La Teoria Biosociale proposta da Marsha Linehan postula che la sregolatezza emotiva1 è determinata sia da fattori genetici predisponenti che dalle caratteristiche dell’ambiente nel quale il soggetto è cresciuto, in particolare nel periodo tra l’infanzia e l’adolescenza.
    Le caratteristiche principali dell’ambiente, che in associazione con i fattori genetici predisponenti determinano la sregolatezza emotiva, sono quelle che lo rendono sminuente2.

    L’ambiente socio-familiare sminuente

    La Teoria Biosociale definisce come ambiente sminuente quello in cui le emozioni, i pensieri e i comportamenti sono giudicati dai genitori o altre figure affini o sostitutive come inopportuni, non in linea con l’etica sociofamiliare di appartenenza.
    Una persona geneticamente predisposta alla sregolatezza emotiva inizia a manifestare le proprie emozioni troppo spesso e in modo molto intenso.
    Ciò può indurre nei genitori o in altre figure affini o sostitutive, sentimenti di disagio e di incomprensione.
    In genere, queste risposte emotive intense e ipersensibili sono regolarmente ignorate oppure punite e giudicate insindacabilmente inappropriate o socialmente inaccettabili.
    Ma il comportamento emotivamente sregolato, soprattutto se l’emozione è stata repressa per lungo tempo, ottiene anche l’effetto di attirare la tanto agognata attenzione.
    Un meccanismo per molti versi assimilabile ai casi di isteria narrati da Freud ed epigoni.

    Il condizionamento operante

    Per effetto del condizionamento operante, la persona apprende che per attirare l’attenzione altrimenti negata o flebile, deve manifestare comportamenti emotivamente sregolati.
    Spesso riceve punizioni3, ma qualche volta riceve per l’appunto l’agognata attenzione, che costituisce, secondo il modello dell’analisi del comportamento, una ricompensa.
    Ricompensare in modo saltuario un comportamento ha un potere rinforzante maggiore rispetto al ricompensare costantemente.
    Il risultato è che la manifestazione emotiva sregolata acquista sempre più probabilità di essere messa in atto.

    Per Linehan, un ambiente sminuente sortisce anche l’effetto di non far ben comprendere alla persona che tipo di emozione sta provando in quel preciso momento.
    Infatti, tra le skill DBT insegnate ai clienti, vi è quella di comprendere e dare un nome alla propria emozione.

     

    Emanuele Fazio
    Psicologo a Roma Nord


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    emanuele fazio psicologo a roma nord

    Ancora sull’ambiente sminuente

    Secondo la Teoria Biosociale, un altro effetto di un ambiente sminuente è l’ipersemplificazione del processo di problem solving4, per cui l’emozione negata, non riconosciuta, sminuita o punita non apporta valenza informativa saliente all’evento che si sta vivendo, per cui la scelta della risposta più appropriata è delegata alla valutazione effettuata dai soli processi cognitivi.
    Il che non sarebbe del tutto limitante, laddove le emozioni apportassero scarsa valenza informativa, come si è sempre creduto prima che Antonio Damasio pubblicasse L’errore di Cartesio e stimolasse l’avvio di un campo di ricerca molto fruttuoso.

    A causa dello straripamento emotivo in atto, che riduce l’efficacia dei circuiti cognitivi, la persona è costretta a fare ricorso, nel migliore dei casi, a cognizioni automatiche (ad esempio le euristiche) ma più frequentemente, soprattutto in soggetti clinici, a risposte impulsive, guidate da riflessi primari come il riflesso attacca o fuggi o il riflesso di freezing.

    La sregolatezza emotiva nei soggetti borderline

    Nei soggetti borderline, ma non solo in essi, lo straripamento emotivo è preceduto o è parallelo al tentativo di regolare l’espressione emotiva per il tramite di comportamenti quali ad esempio il tentativo di suicidio, l’autolesionismo non suicidario attuato attraverso tagli o bruciature inflitti agli arti superiori, inferiori o altre parti del corpo, l’abuso di sostanze oppure la messa in atto di comportamenti ritenuti compensatori, come la promiscuità sessuale, furti, litigi, guida spericolata di veicoli ed altri ancora.

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    1 In genere tradotto con disregolazione emotiva, dall’inglese emotional dysregulation. La parola dysregulation è un neologismo creato combinando il prefisso dys- con regulation. Secondo il Dizionario Webster, dys- ha varie radici ed è di origine greca. Viene spesso confuso con la parola disregulation, con il prefisso dis- che significa “l’opposto di” o “assenza di”; mentre con disregulation ci si riferisce alla rimozione o all’assenza di regolazione, la dysregulation si riferisce a modi di regolare che sono inappropriati o inefficaci. Inoltre, il termine disregolazione non esiste in italiano e la migliore approssimazione al significato originario del concetto è appunto, a mio modesto avviso, sregolatezza.

    2 In genere tradotto con ambiente invalidante, dall’inglese invalidating environment. L’aggettivo sminuente rende meglio il significato originario del concetto.

    3 Anche sotto forma di mancanza di attenzione.

    4 Il problem solving è una procedura finalizzata alla modifica del comportamento, attraverso la valutazione da parte del paziente, con l’aiuto del terapeuta, di tutte le possibili alternative di comportamento data una situazione problematica e l’apprendimento dell’alternativa considerata e poi verificata essere la più efficace.

  • Mindfulness

    mindfulness

    DBT Skills Training

    Mindfulness

    Esploriamo una delle quattro DBT Skills

    di Emanuele Fazio

    Introduzione alla mindfulness

    Mindfulness significa trovarsi costantemente (o quasi) in uno stato mentale definito “saggio” ed essere vigili di ciò che sta accadendo nel momento presente, attimo dopo attimo.
    La pratica della mindfulness consiste di tre precise azioni: osservare, descrivere e partecipare il momento presente.

    Che cosa significa tutto ciò?
    Significa non lasciare che la mente vada alla deriva (cioè, che sia vigile del momento presente e che quindi non presti attenzione a fantasie del passato o del futuro).
    Imparare a praticare la mindfulness e imparare a vivere nel presente senza preoccuparsi troppo del futuro o del passato, ed è un’abilità utile per chiunque.
    La mindfulness è una pratica molto utilizzata in psicologia per il trattamento di ansia, rabbia, depressione e altri problemi di natura psicologica sia temporanei che duraturi, sia lievi che gravi.
    Sostanzialmente, la mindfulness è lo stato mentale che può essere raggiunto quando prestiamo nella maggior parte del tempo la nostra attenzione a ciò che sta accadendo nel momento presente.
    Implica quindi, da una parte la serena accettazione dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e dei nostri comportamenti, qualunque essi siano, ma dall’altra la selezione e l’attenzione prestata solo a quei pensieri, a quelle emozioni e a quei comportamenti che hanno attinenza con il momento presente.

    Rimanere concentrati sul presente.
    Rimanere concentrati sul presente può sembrare banale per molti, ma in realtà è più facile a dirsi che a farsi.
    La nostra mente può facilmente andare alla deriva: troppo spesso perdiamo il contatto con il momento presente e restiamo assorbiti da pensieri, il più delle volte ossessivi, sulle cose che ci sono accadute in passato o che temiamo ci accadano nel futuro.
    Ma indipendentemente da quanto la nostra mente si allontani dal presente, la pratica della mindfulness ci consente di tornare immediatamente al momento presente, attraverso l’uso di efficaci tecniche che saranno descritte in seguito

    La mindfulness è solitamente associata alla meditazione.
    Sebbene la meditazione sia un modo efficace per praticare la mindfulness, la mindfulness è un modo di essere presenti, che puoi usare in qualsiasi momento.
    È una forma di consapevolezza cosciente che si può raggiungere solo se ci si concentra intenzionalmente sul momento presente.

    Emanuele Fazio
    Psicologo a Roma Nord


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    emanuele fazio psicologo a roma nord

    L’attenzione e l’atteggiamento non giudicante sono i due elementi primari della mindfulness

    Attenzione

    Molti di noi soffrono di quella che è nota come “mente scimmia”, per cui la mente si comporta come una scimmia che salta da un ramo all’altro.
    La nostra mente può oscillare tra un pensiero e un altro e di solito non abbiamo idea di come siamo finiti a pensare a qualcosa.

    La mente scimmia oscilla tra il passato, rimuginando su ciò che è successo o su ciò che tu pensi sarebbe successo se tu avessi agito diversamente, e il futuro, poiché ti rende ansioso (o semplicemente curioso) di ciò che potrebbe accadere. La mente scimmia ti impedisce di vivere pienamente l’esperienza del momento presente.

    Ricorda, mindfulness significa dirigere la tua attenzione su ciò che sta accadendo qui e ora.

    Atteggiamento non giudicante

    Sospendere il giudizio è tra i principi base della mindfulness.
    Quindi, una persona consapevole sa come accettare la realtà e non si impegna a evitarla oppure a interpretarla in maniera inaccurata.
    Ciò può sembrare una ovvietà, ma una volta che si inizia a praticare la mindfulness, ci si renderà conto di quanto spesso emettiamo giudizi affrettati su noi stessi e sui nostri pensieri.

    Ecco alcuni esempi di frasi utilizzate quando giudichiamo noi stessi oppure gli altri:

    • Non sono bravo a fare questa cosa, sono decisamente negato.
    • Non mi piace la mia auto.
    • Non mi piace il mio vicino.
    • Quella persona è decisamente antipatica.

    La mindfulness è l’arte di tenere a bada il nostro giudice interiore.
    Ci permette di rimodulare le nostre aspettative e di diventare più comprensivi di come stanno effettivamente le cose.

    Ricorda, stai solo sospendendo il tuo giudizio in modo da poter avere più tempo per valutare meglio le circostanze presenti e fare la scelta migliore.
    Si possono apportare cambiamenti al proprio punto di vista solo quando il tuo stato mentale è quello ottimale.
    Inoltre, la mindfulness ti permetterà di essere più tollerante con te stesso, più accogliente rispetto alle tante esperienze non positive e più attento alle persone che ti circondano.

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    Esploriamo una delle quattro DBT Skills

    di Emanuele Fazio

    Migliorare la qualità delle relazioni personali

    Nessuna delle quattro DBT Skills è più importante rispetto alle altre, ma quella che cattura la maggiore attenzione di chi è interessato a praticare il DBT Skills Training attiene le skill su come migliorare la qualità delle relazioni personali. Le difficoltà relazionali, siano esse parziali, cioè limitate ad un solo contesto, oppure totali, che interessano più contesti, sono il primo segnale che ogni persona coglie quando si rende conto che è necessario un cambiamento o un miglioramento del proprio stile mentale di vita.
    I contesti generalmente coinvolti sono quello familiare, lavorativo o scolastico, socio-ricreativo (amicale, relazionale) e affettivo.
    Le difficoltà maggiori riguardano le nuove relazioni (incapacità di fare nuove conoscenze) e quelle già presenti.
    Le tre DBT Skills che fanno parte di questo gruppo si chiamano 

    DEAR MAN, GIVE e FAST

    rispettivamente utili a 

    • saper chiedere ciò di cui si ha bisogno;
    • manutenere adeguatamente le relazioni che si hanno;
    • saper dire di no quando questa risposta è la più conveniente per entrambi gli interlocutori.
    Emanuele Fazio
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    Le principali cause che ostacolano il miglioramento delle relazioni personali

    Le principali cause che ostacolano il miglioramento delle relazioni personali sono:

    Non hai le skill di cui hai bisogno.

    Il DBT Skills Training è, per l’appunto, un allenamento che serve a implementare o a migliorare certe capacità.
    Ovviamente, ci sono casi in cui tali skill devono essere apprese da zero, o quasi.
    Non necessariamente le difficoltà relazionali nascono da scarse capacità specifiche, come quelle prima dette (DEAR, MAN, GIVE) ma anche da quelle che abbiamo già visto e relative alle altre tre DBT Skill.

    Non sai bene cosa vuoi.

    È difficile essere efficaci nelle relazioni personali quando non si sa bene cosa si vuole.
    Questo può far sì che tu dica sempre no a tutto ciò che ti viene offerto o suggerito, ma non perché le soluzioni non siano ragionevoli, bensì perché non hai chiaro il tuo obiettivo o il risultato che desideri ottenere.
    Questa situazione è comune quando ci si trova in uno stato mentale emotivo, oppure quando la risoluzione dei problemi è difficile a causa di una sregolazione emotiva.
    In questi casi, la persona con cui sei in relazione manifesta tutta una serie di pensieri, emozioni e comportamenti che generano in te altrettanti pensieri, emozioni e comportamenti, in una escalation che non può che produrre incomunicabilità.

    Le tue emozioni e i tuoi impulsi hanno preso il sopravvento.

    Le emozioni sregolate e gli impulsi sono i principali determinanti dell’inefficacia relazionale.
    Tutti noi abbiamo avuto quei momenti in cui abbiamo pensato: “Non posso credere di averlo detto o fatto”.
    L’hai fatto perché eri guidato da come ti sentivi e non ti sei fermato a riflettere. Sono questi i momenti in cui danneggi le tue relazioni e poi hai bisogno di raccogliere i pezzi, assumerti la responsabilità di ciò che hai detto o fatto e chiedere possibilmente scusa.

    I tuoi pensieri e le tue convinzioni hanno preso il sopravvento.

    Ciò che pensi determina significativamente il tuo comportamento e alcune tipologie di pensiero sono di ostacolo a mantenere, accrescere o migliorare le relazioni personali.
    Ad esempio, manifestare pregiudizi, oppure assumere atteggiamenti che gli altri considerano impropri, oppure ancora esagerare con l’autocritica fino a sfociare nell’auto-disprezzo, sono tutti pensieri (e i comportamenti che ne derivano) che determinano inefficacia relazionale.

    Dimentichi o sacrifichi i tuoi obiettivi a lungo termine per i tuoi obiettivi a breve termine.

    Quando sei sopraffatto da una forte emozione, è facile perdere di vista i tuoi obiettivi a lungo termine e dare invece la priorità a ciò che vuoi fare in quel momento.
    Ad esempio, quando stai attraversando un momento difficile, potresti annullare gli appuntamenti che avevi preso con le persone oppure semplicemente non presentarti, perché ti senti meglio se rimani a casa e uscire sembra uno sforzo sovraumano.
    Tuttavia, e col tempo, finirai per sentirti escluso e i tuoi amici potrebbero pensare che tu sia inaffidabile e quindi smettere di invitarti.
    Hai dato la priorità all’esigenza impellente (quindi un impulso) di evitare una situazione ansiogena che potrebbe essere difficile da gestire a causa di come ti senti in questo momento, rispetto al tuo obiettivo a lungo termine di mantenere relazioni importanti.

    Altre persone si sono messe di traverso.

    Ci sono momenti in cui ci imbattiamo in persone che per svariate ragioni, spesso oscure, possono ostacolarci e rendere la nostra vita difficile.
    Spesso si tratta di persone che detengono un potere maggiore del nostro, e se non ci muoviamo con cautela rischiamo di finire stritolati.
    La cautela fa sì che non riusciamo a fare e a dire le cose come vorremmo, per paura di sbagliare, ma di fatto complichiamo semplicemente la situazione.

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    Esploriamo una delle quattro DBT Skills

    di Emanuele Fazio

    Praticare la mindfulness con le tre How Skills

    Abbiamo già visto come praticare la Mindfulness attraverso le What Skills.
    Le How Skills ci spiegano il modo in cui le What Skills vanno usate.
    Le tre How Skills sono le seguenti:

    atteggiamento non giudicante, singletasking, azione efficace

    Assumere un atteggiamento non giudicante significa evitare di giungere a conclusioni (in particolare quelle affrettate), spesso frutto di pensieri automatici, pregiudizi e controllo emotivo non efficace.
    Un altro modo di definire quanto appena detto è: sospendere il giudizio.
    Il giudizio non è altro che un’etichettatura: attribuire caratteristiche ad un fenomeno e pertanto includerlo in un particolare insieme.

    Un esempio renderà tutto più chiaro.
    Mi trovo davanti al cinema ad aspettare una persona con la quale avevo un appuntamento alle 21. Sono le 21 e 15 minuti, provo a chiamare dal telefono mobile, ma invano. Non è la prima volta che capita con questa stessa persona e pertanto ho il sospetto che sia una sua caratteristica. Una spiacevole caratteristica, in quanto far attendere le persone davanti al cinema rappresenta una mancanza di rispetto. Forse ritiene che il suo tempo vale più del mio?
    In questo caso, ho espresso un giudizio negativo sul fatto che la persona in questione sta ritardando a presentarsi all’appuntamento.
    E sono giunto (anzi, saltato) alla conclusione che la persona considera il suo tempo importante e il mio no.
    Ovviamente, sospendere il giudizio non significa evitare di chiarire, nei modi e nei tempi opportuni, con la persona in questione se il suo comportamento è ascrivibile al caso oppure rientra nel suo repertorio abituale.
    Vuol dire semplicemente sospendere, cioè rimandare.
    I quindici minuti di attesa possono essere investiti praticando l’osservazione, come abbiamo già visto in un precedente articolo.
    In particolare, osservando i pensieri e le emozioni che si presentano in noi durante l’attesa davanti al cinema.
    È importante evidenziare che l’atteggiamento non giudicante non implica la sostituzione di giudizi negativi con altri positivi oppure neutri.
    Implica non usare affatto i giudizi, perché i giudizi positivi o neutri possono trasformarsi rapidamente in negativi. 

    Ad esempio, supponiamo che io giudichi la persona prima detta come la persona più meravigliosa del pianeta.
    Il semplice fatto che il suo comportamento (arrivare in ritardo) confligge con tale giudizio estremamente positivo, la delusione provata è ancora maggiore. Questo atteggiamento di supervalutazione di cose e persone (in particolare persone) è tipico negli stili di personalità borderline (e ovviamente anche nei disturbi) ed è causa di maggiore conflittualità interna ed esterna.
    Affronteremo questo argomento in un altro articolo.

    Infine, quando parliamo di sospensione del giudizio, parliamo anche e soprattutto dell’auto-giudizio.
    Ci giudichiamo troppo spesso (positivamente o negativamente) in modo affrettato.
    La sospensione del giudizio riguarda in particolar modo il giudizio nei confronti di noi stessi.

    Emanuele Fazio
    Psicologo a Roma Nord


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    Singletasking

    Singletasking è l’esatto opposto di multitasking, termine che nell’accezione comune indica una persona in grado di fare più cose simultaneamente.
    Molte ricerche hanno evidenziato come i soggetti che eseguono una serie di compiti in sequenza ottengono risultati migliori rispetto a soggetti che li eseguono in simultanea, anche parziale.
    Nel nostro caso, singletasking significa fare due cose:

    • prestare attenzione solamente a ciò che attuale, che sta accadendo in quel preciso momento, evitando di divagare pensando a cose passate o future;
    • fare una cosa alla volta piuttosto che dividere l’attenzione tra più cose, come guidare l’auto e avere nel contempo una conversazione telefonica (o peggio, scorrere i messaggi ricevuti sui social media)!
    Azione efficace

    Azione efficace significa pensare e agire in funzione dell’attuale situazione, considerando i pro e i contro prima di intraprendere le azioni più opportune.
    È una skill sociale (tutte le skill hanno ricadute nelle relazioni interpersonali, ma questa ha una ricaduta maggiore).

    Un esempio renderà tutto più chiaro.
    Ho appena conosciuto una persona che fa parte della stessa associazione a cui sono iscritto. È particolarmente loquace e come tutte le persone loquaci, tende a saltare con disinvoltura da un argomento a un altro. A un certo punto inizia a parlare di politica, e mi rendo conto che ha un orientamento non esattamente sovrapponibile al mio. Si lascia andare a giudizi sprezzanti nei confronti di persone che io invece stimo e loda altri nei confronti dei quali ho alcune riserve. Cosa faccio? Annuisco per non infilarmi in un conflitto, sperando che prima o poi cambi argomento oppure controbatto per far valere anche il mio punto di vista?
    Sembrerebbe un dilemma, cioè una situazione che richieda una scelta tra due alternative ugualmente auspicabili o indesiderabili.
    Ovviamente, si tratta di un esempio e non di un indovinello (non è importante riferire quale scelta sia quella giusta, anche perché andrebbero valutati altri fattori che l’esempio non riporta) ma ciò che mi interessa evidenziare è che la skill prevede che io faccia una disamina attenta della situazione, che valuti tutte le alternative possibili (molto probabilmente non sono solo le due citate) e che poi decida il da fare, che è l’azione più efficace tra quelle possibili (quindi un efficacia relativa piuttosto che assoluta).

    Continua leggendo Pensare Mindfulness 4
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    I tre stati della mente

    Chi si avvicina per la prima volta al DBT Skills Training, e più generale alle terapie psicologiche (sostegno, abilitazione e riabilitazione, counseling, psicoterapia), lamenta una emotività eccessiva e difficile da controllare, che interferisce, con gradi di intensità variabili tra persona e persona, con una vita serena e soddisfacente.
    Ma facciamo un passo indietro.
    Ogni qualvolta osserviamo (coscientemente o meno) un fenomeno, lo valutiamo attraverso due lenti: la cognizione e l’emozione.
    La cognizione attiene soprattutto il pensiero logico.
    Le due lenti vanno usate contemporaneamente, e a seconda dei fenomeni osservati, può risultare più utile e appropriata una piuttosto che l’altra.
    In ogni caso, è opportuno usarle sempre e comunque entrambe.
    Sostituiamo lenti con la parola “mente” e avremo

    Mente razionale e mente emotiva

    Esiste tuttavia un terzo stato della mente, chiamato mente saggia, e che è quello generalmente ottimale.
    Torneremo presto su questo concetto, che ho anticipato perché ne accenno più avanti.
    Passiamo pertanto a parlare di

    Praticare la mindfulness con le tre What Skills

    What in inglese sta per cosa, e le tre skill necessarie per una buona pratica sono le seguenti:

    osservare, descrivere e partecipare

    Osservare è inteso nel senso di prestare attenzione, a tutto ciò che si muove attorno a noi. Soprattutto dentro di noi, come ad esempio pensieri, sensazioni corporee, sentimenti.
    Prestare attenzione e non giudicare, il che significa anche non etichettare, cioè non dare un nome ai fenomeni.
    Limitarsi pertanto all’esperienza sensoriale prima ancora che percettiva (quest’ultima è già mediata e/o moderata da pensieri, emozioni e comportamenti).  

    Si procede in questo modo: isolati in un angolo tranquillo della tua casa o in qualunque altro posto facilmente accessibile. Siedi a terra a gambe incrociate utilizzando un cuscino oppure su una sedia. Spegni il telefono (o mettilo in modalità aereo) e fai qualche respiro profondo, prima di inspirare e poi dire ad alta voce “la mia intenzione … “. A questo punto espira e mentre lo fai dici, sempre ad alta voce, “… è quella di praticare l’osservazione”.

    Passa quindi a osservare l’ambiente circostante, la temperatura percepita, eventuali suoni che provengono da lontano (non devono essere distraenti). Poi osserva cosa accade dentro di te, come ad esempio le sensazioni corporee, i pensieri e le emozioni. Questi ultimi devono catturare la tua attenzione solo per pochi istanti, non devono fissarsi nella mente.

    Non attribuire etichette alle sensazioni! Immagina di ascoltare un brano musicale ma di riuscire a cogliere solo le note che lo compongono oppure di leggere una frase ma cogliere esclusivamente le lettere che la compongono (come se fossero semplici simboli).

    È necessaria una precisazione: la pura sensazione non esiste in natura, o per meglio dire, non è nella natura umana cogliere la pura sensazione senza avviare automaticamente il processo che conduce alla percezione. Lo sforzo che bisogna provare a fare è pertanto quello di far approssimare il fenomeno alla pura sensazione, frenando il processo che conduce alla percezione. Torneremo in seguito su questo concetto, molto importante, ma per adesso proseguiamo con l’argomento che abbiamo iniziato.

    Emanuele Fazio
    Psicologo a Roma Nord


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    emanuele fazio psicologo a roma nord

    Descrivere

    Descrivere è inteso nel senso di dare un nome ai fenomeni, nel nostro caso alle sensazioni e poi alle percezioni.
    È importante considerare che non è sempre facile dare un nome ad un fenomeno, non fosse altro che due persone intendono con lo stesso nome cose che possono essere diverse, ma soprattutto cose diverse possono essere etichettate, per comodità, con lo stesso nome. Inoltre, quando le ipotetiche due persone non sono altro che due istanze appartenenti alla stessa persona, ecco che la faccenda si complica.
    Pensiamo ad esempio alla mente razionale e alla mente emotiva: la nostra mente razionale può attribuire ad un fenomeno un’etichetta diversa da quella attribuita dalla mente emotiva. Se a ciò aggiungiamo che tali processi spesso avvengono al di fuori della nostra coscienza, ecco che la faccenda sembra complicarsi oltre misura.

    Si procede allo stesso modo dell’osservazione, ma giunti al punto in cui espiri, pronuncerai la frase “… è quella di praticare la descrizione”.

    Passa quindi a descrivere l’ambiente circostante: la temperatura percepita adesso avrà un nome (caldo, freddo, umido, piacevole) eventuali suoni che provengono da lontano (non devono essere distraenti) saranno adesso voci, fruscii, canto di uccelli, scrosci d’acqua. Poi descrivi cosa accade dentro di te, come ad esempio le sensazioni corporee (tremore, brividi), i pensieri e le emozioni. Per quanto attiene i pensieri, se stai per esempio pensando: “sono davvero uno sciocco a fare questa cosa, non mi servirà a nulla”, trasforma la frase, ripetendola a voce alta, in: “sto pensando che Emanuele potrebbe essere uno sciocco a fare questa pratica e che potrebbe non servigli molto”.

    Quindi, parla di te in terza persona, ovviamente sostituendo il mio nome con il tuo (a meno che anche tu non ti chiami Emanuele), usa il condizionale, sostituisci le parole generiche con parole più specifiche (cosa con pratica) e le parole più nette con altre più neutre, mantenendo il significato (a nulla con molto).

    Partecipare

    Partecipare è inteso nel senso di svolgere un compito qualsiasi, ad esempio annaffiare le piante sul balcone o rimuovere le infestanti, concentrandoti esclusivamente su ciò che stati facendo. Naturalmente, ti sarai nel frattempo rialzato e raggiunto il balcone. Sempre inspirando e espirando, ripeterai la stessa frase, sostituendo l’ultima parola con “partecipazione” e pertanto dirai “… è quella di praticare la partecipazione”. A questo punto presta attenzione a ciò che maneggi e a ciò che fai, ripetendo ad alta voce (non troppo alta, visto che sei sul balcone …): “Emanuele ha preso l’annaffiatoio e lo sta riempiendo d’acqua, e adesso versa l’acqua dentro il primo vaso, che contiene un geranio rosso. Poi passa al secondo, che contiene anch’esso un geranio rosso … “ e così di seguito.

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  • La pratica della mindfulness

    La pratica della mindfulness

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    Esploriamo una delle quattro DBT Skills

    di Emanuele Fazio

    La pratica mindfulness è la meditazione?

    Il DBT Skills Training contempla, tra le sue quattro skill fondamentali, la pratica della mindfulness.
    Molti considerano la pratica della mindfulness come una forma di meditazione.
    Il che è certamente corretto.
    Tuttavia, la mindfulness viene spesso considerata come una pratica esercitata da persone dotate di un elevato senso di spiritualità.
    Anche ciò è a volte vero.
    Ma da un punto di vista psicologico, e più esattamente all’interno del DBT Skills Training, la mindfulness è soprattutto considerata una capacità di pensare e di agire (vedremo tra breve in che modo) e che può essere appresa e implementata all’interno di un percorso specifico, per l’appunto il DBT Skills Training.
    Tale capacità, se adeguatamente appresa, e naturalmente anche adeguatamente insegnata, è in grado di influenzare il nostro modo di pensare e di agire, alleviando di fatto le problematicità determinate da stress, pensieri divergente, emotività e scarso controllo degli impulsi.

    Emanuele Fazio
    Psicologo a Roma Nord


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    Psicologo a Roma nord

    Cosa si intende con il termine mind?

    Si intende la mente.
    E quindi, cosa si intende con il termine mente?
    Da un punto di vista psicologico, che è quello che principalmente ci interessa, la mente è la modalità di funzionamento del nostro cervello, la cui funzione (cioè di mente + cervello) è quella di percepire i fenomeni che avvengono attorno a noi (ma questa è una modalità di funzionamento che anche gli animali non umani hanno) e di farne esperienza, cioè di ricavarne dati e inferenze che ci potranno tornare utili in seguito.
    Anche questa è una modalità che gli animali non umani hanno, ma gli animali umani ce l’hanno molto più sviluppata.

    Noi percepiamo i fenomeni, o per meglio dire, sentiamo i fenomeni e poi li percepiamo (sensazione e percezione sono due funzioni distinte, come vedremo in un altro articolo) e questa percezione, assieme all’esperienza, determina un’altra serie di fenomeni che si chiamano pensieri, emozioni, comportamenti, e al loro interno altri fenomeni, che chiamiamo atteggiamenti, sentimenti, impulsi, spinte motivazionali, memoria ed altri ancora.
    Tutti questi fenomeni possono essere coscienti, cioè, ci accorgiamo del fatto che stanno realmente accadendo e quindi possiamo anche descriverli, oppure possono non esserlo, nel senso che accadono, ma non ne facciamo esperienza.
    Al massimo, facciamo esperienza di ciò che determinano.
    Inoltre, e questa è una caratteristica solo degli animali umani, possiamo percepire e fare esperienza del fatto che stiamo percependo e stiamo facendo esperienza di un fenomeno.

    Il qui e ora nella pratica mindfulness

    Sviluppare la skill della mindfulness significa essenzialmente essere capaci di avere coscienza di ciò che sta realmente accadendo in quel preciso momento, limitando al massimo l’intrusione di pensieri, memorie e quant’altro non riferibile al momento presente.
    Ad esempio: se sono impegnato con una faccenda domestica, magari una di quelle che svolgo in automatico, può capitare che mi metta a pensare a qualcos’altro non pertinente con la faccenda prima detta, come potrebbe essere pensare a qualcosa che mi è successa ieri.
    Frattempo un pensiero non del tutto cosciente mi avverte che per continuare la faccenda domestica devo recuperare un oggetto che si trova in un’altra stanza.
    Automaticamente mi dirigo verso l’altra stampa, sempre rimuginando su quel qualcosa accaduto ieri.
    Arrivo nell’altra stanza e … non ricordo più il motivo per cui mi ci ero recato! Questo vuol dire, in linea di massima, non pensare mindfulness.
    Il pensiero di ciò che è accaduto ieri non è funzionale allo svolgimento del compito.

    Più estesamente, la pratica della mindfulness implica il prestare attenzione solo a ciò che sta accadendo in quel preciso momento, soprattutto a ciò che si sta verificando sottotraccia, senza che noi abbiamo piena consapevolezza di ciò.
    Come dicevo prima, molti fenomeni tra quelli che ho elencato avvengono al di fuori della nostra coscienza ma ciò che determinano è spesso cosciente.
    Se non provassimo ad avere coscienza e fare esperienza di tali fenomeni, probabilmente non saremmo in grado di fare inferenze circa la loro relazione di causa/effetto (o di correlazione), rischiando di credere che la causa di qualcosa sia qualcos’altro, invece che il fenomeno sottotraccia.
    Un altro aspetto del pensare mindfulness è quello dell’atteggiamento non giudicante.
    Parleremo in un altro articolo di questo aspetto.

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  • Il programma terapeutico DBT

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    DBT Skills Training

    I quattro moduli del DBT Skills Training

    di Emanuele Fazio

    Il programma terapeutico DBT prevede quattro moduli:

    • gruppo di formazione sulle Skill DBT;
    • terapia psicologica individuale;
    • coaching telefonico;
    • gruppo di formazione avanzato.

    Sulla base di una sessione di valutazione iniziale, il programma terapeutico DBT sviluppa un piano di trattamento personalizzato per affrontare gli obiettivi e le esigenze specifiche di ogni cliente.

    Gruppo di formazione sulle Skill DBT

    Il mio principale obiettivo terapeutico è quello di insegnarti a sviluppare abilità per aumentare la tua capacità di controllare i tuoi pensieri, le tue emozioni e i tuoi comportamenti.
    Queste abilità sono insegnate in sessioni di gruppo, con incontri settimanali di circa 90 minuti.
    Sono in genere disponibili diversi gruppi per soddisfare le esigenze di pianificazione e per mantenere gruppi di dimensioni ridotte.
    Si può anche partecipare solamente al gruppo di formazione.

    Terapia psicologica di sostegno, abilitazione/riabilitazione individuale

    Poiché nel gruppo di formazione l’attenzione è posta sull’apprendimento delle Skill DBT, le sessioni individuali sono il luogo in cui avrai l’opportunità di affrontare più direttamente i problemi che ti riguardano personalmente.
    Lavoreremo assieme per affrontare i problemi che stanno causando disagio nella tua vita, oltre ad aiutarti per costruire una vita che sia più soddisfacente e appagante.
    Le sessioni individuali avvengono in genere con cadenza settimanale e per la durata di 45 minuti circa, anche se ciò sarà determinato in base al piano di trattamento individuale del cliente.

    Coaching telefonico

    Poiché non possiamo pianificare in anticipo ogni problema che potrebbe manifestarsi, ai clienti viene offerta la possibilità di telefonare per un coaching telefonico istantaneo.
    Con il coaching telefonico istantaneo, avrai l’opportunità di ottenere i giusti suggerimenti in tempo reale, in modo da poter affrontare efficacemente eventuali difficoltà che sorgono tra una sessione e l’altra.

    Gruppo di formazione avanzato

    Poiché molti clienti desiderano continuare a lavorare sulle loro Skill DBT anche dopo aver completato il gruppo di formazione, nel programma terapeutico DBT è disponibile un gruppo di formazione avanzato opzionale.
    Questo gruppo ha una struttura meno formale rispetto al gruppo di formazione di base, poiché l’agenda del gruppo è determinata in base alle esigenze dei membri specifici del gruppo.
    I membri del gruppo di formazione avanzato lavorano quindi insieme tra di loro e con il leader del gruppo per aiutare a sviluppare strategie e soluzioni ai problemi discussi. Il gruppo di formazione avanzato si riunisce per 90 minuti ogni due settimane.

    Emanuele Fazio
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  • Marsha Linehan e la Terapia Dialettico Comportamentale

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    DBT Skills Training

    Marsha Linehan e la terapia dialettico comportamentale

    Breve storia del trattamento DBT

    di Emanuele Fazio

    Marsha Linehan e la terapia dialettico comportamentale

    La terapia dialettica comportamentale (DBT, acronimo di Dialectical Behavior Therapy) è un trattamento psicoterapeutico originariamente sviluppato dalla psicologa statunitense Marsha Linehan tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90.

    Il tutto nasce da un’esperienza personale: Linehan, tra i diciotto e i vent’anni di età, rimase per 26 mesi consecutivi internata in una casa di cura privata per pazienti affetti da disturbi psichiatrici gravi, ricevendo una diagnosi di schizofrenia. Oltre alla circostanza della diagnosi rivelatasi poi errata, nessuna delle cure somministratele sembrava sortire l’effetto sperato. La remissione dei sintomi avvenne in modo quasi spontaneo, agevolata dalla forza di volontà di Linehan che giurò a se stessa e al mondo che sarebbe uscita da quella condizione e avrebbe aiutato gli altri a fare lo stesso, sebbene a quei tempi non avesse ancora ben chiaro il proprio percorso di vita.

    Successivamente intraprese la carriera universitaria, dapprima laureandosi, poi diventando ricercatrice e infine docente, oltre che clinica praticante. Come promesso, Linehan si interessò da subito a studiare e curare pazienti di genere femminile afflitte da ideazione suicidaria cronica e autolesionismo non suicidario, la maggior parte delle quali con disturbo borderline della personalità.

    Emanuele Fazio
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    Gli esordi della terapia dialettico comportamentale

    La terapia inizialmente somministrata da Marsha Linehan era quella comportamentale, sulla quale si era formata. Tuttavia, Linehan notò che la maggior parte delle pazienti che aveva in cura virava piuttosto rapidamente verso una resistenza al trattamento, e al conseguente abbandono della terapia.

    Ne dedusse, attraverso l’utilizzo di riprese attraverso lo specchio unidirezionale e l’analisi delle sedute, che agire direttamente sul cambiamento del comportamento considerato disfunzionale era vissuto dai pazienti come invalidante. Una prima variazione rispetto al modello standard della terapia comportamentale fu l’introduzione del concetto di accettazione e dei suoi corollari applicativi, influenzata dal lavoro che Steven Hayes stava portando avanti, lavoro che culminerà con l’elaborazione della terapia dell’accettazione e dell’impegno.

    L’aggiunta di strategie di accettazione, secondo Linehan, avrebbero aiutato i pazienti a sentirsi più compresi, il che a sua volta avrebbe contribuito a migliorare la relazione con i terapeuti e a facilitare i loro progressi.

    Tuttavia, Linehan notò che focalizzandosi maggiormente sull’accettazione, molti pazienti continuavano a non rispondere alla terapia.

    L’intuizione fu pertanto quella di sviluppare un’azione terapeutica che integrasse strategie di accettazione e strategie di cambiamento, che Linehan definì dialettica.

    Come ben spiega Paolo Migone: “l’approccio dialettico della Linehan è il seguente: siamo d’accordo sul fatto che il paziente deve cambiare e che noi dobbiamo indurlo a cambiare […] ma questa è solo una faccia della medaglia, in realtà esiste anche il paziente che non può o non vuole cambiare, e questo paziente va comunque compreso, capito, accettato, “validato” emotivamente […].  [U]n buon terapeuta deve essere capace di fare simultaneamente due cose che sembrano opposte: spingere il paziente verso il cambiamento, e anche accettarlo quando non riesce a cambiare”.

    Nel 1993 Linehan pubblica Cognitive-Behavioral Treatment of Borderline Personality Disorder (tradotto e pubblicato in Italia nel 2021, a cura di Lavinia Barone, con il titolo Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline – Il modello DBT), che presenta al grande pubblico gli assunti teorici e metodologici fondamentali dell’approccio.

    Da notare che il titolo non fa ancora menzione esplicita della parola dialectical. Del resto, come la stessa Marsha Linehan ci informa, la terapia (o programma terapeutico) è in prima istanza la risultante dell’applicazione di strategie utilizzate nella terapia cognitiva e nella terapia comportamentale, e finalizzate alla modifica cognitiva e alla modifica comportamentale.

    La DBT è di fatto un interessante mix di teorie e metodi mutuati o ispirati da diversi approcci, tra cui appunto il cognitivo-comportamentale, ma anche la terapia centrata sulla persona di Carl Rogers, la gestalt, la psicologia dinamica, l’approccio sistemico relazionale nonché la pratica della mindfulness e la filosofia dialettica, quest’ultima ispirata dalle concettualizzazioni di Karl Marx.

    L’innovazione della Linehan è quella di puntare direttamente alla modifica emotiva, più precisamente attraverso la regolazione dell’espressione emotiva. L’assunto teorico è che l’incapacità di regolare efficacemente e efficientemente le emozioni, assieme ad una vulnerabilità in gran parte biologica ma anche parzialmente appresa durante lo sviluppo tra l’infanzia e l’adolescenza, determina[1] sia la disregolazione comportamentale che quella cognitiva.

    Si ritiene che le irregolarità biologiche nel temperamento e nel controllo degli impulsi portino alla vulnerabilità emotiva, caratterizzata da un’elevata sensibilità agli stimoli emotivi, un’elevata intensità emotiva e un lento ritorno alla linea di base emotiva.

    La vulnerabilità emotiva è caratterizzata da una elevata sensibilità agli stimoli, siano essi oggettivamente o soggettivamente emotigeni, generalmente precorritrice di un’espressione particolarmente intensa dell’emozione sia fisiologica (asse ipotalamo-ipofisi-surrene, sistema nervoso autonomo simpatico) che psico-motoria (espressione facciale o altre manifestazioni) ma soprattutto dal forte ritardo a ritornare ad una situazione di equilibrio e controllo, anche quando la stimolazione emotigena cessa o riduce il suo effetto attivante.

    L’assunto teorico delle terapie ricadenti nell’ambito più strettamente cognitivo-comportamentale è invece quello che la disregolazione cognitiva in primis e la disregolazione comportamentale in secundis determinano la disregolazione sia emotiva che comportamentale. Per effetto della causalità circolare, si determina un processo di disregolazione reciproca e pertanto un avvitamento a spirale dell’intensità di ciascuna espressione emotiva, comportamentale e cognitiva, e quindi la patologia. Questo effetto è contemplato in entrambi gli approcci appena detti (e in molti altri): la differenza consiste semplicemente su quale fattore (cognitivo, comportamentale o emotivo) intervenire in primo luogo e ancora più specificatamente in quale sotto-fattore. Torneremo successivamente su questa importante specificazione

    Le espressioni comportamentali disfunzionali osservate in pazienti (o che i pazienti osservano in sé stessi) con disregolazione emotiva, sono: eccesso di disforia e/o di euforia, sentirsi insignificanti e privi di scopi e/o obiettivi, manifestazioni incontrollate di rabbia, paura, ansia, gioia, vergogna e molte altre emozioni sia primarie che secondarie.

    Per il modello della DBT, la regolazione emotiva avviene per mezzo di diverse tecniche, insegnate ai pazienti, come ad esempio:

    • comprendere e dare il nome esatto alle proprie emozioni;
    • modificare il comportamento che è guidato esclusivamente o quasi dall’emozione, quindi quello impulsivo;
    • ridurre la vulnerabilità individuale di fronte all’emergere delle emozioni;
    • imparare a gestire le emozioni intense, in particolare quelle negative.

    La scelta della tecnica o delle tecniche più appropriate è funzione della scelta di quale sotto-settore previlegiare nell’intervento, e rappresenta la risultante di una rigorosa analisi del caso.

    [1] in primis su persone con personalità borderline ma ad oggi il modello è applicato a diverse popolazioni sia cliniche che non cliniche

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  • Emozione

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    Emozione

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    di Emanuele Fazio

    Emozione

    L’emozione è uno stato mentale e fisiologico determinato e associato a modificazioni psicologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. Secondo la definizione della Associazione Psicologica Americana, un’emozione è un modello fenomenico complesso, di natura reattiva, che coinvolge varie esperienze soggettive, sia di natura fisica (comportamenti, riflessi, attivazione fisiologica) che psicologica (esperienza soggettiva, processi cognitivi), non sempre a livello consapevole. Si tratta di un modello funzionale, frutto dell’evoluzione, al fine di fronteggiare fenomeni o eventi con il quale un organismo entra costantemente in relazione significativa.

    Emanuele Fazio
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  • La piramide dei bisogni di Abraham Maslow

    La piramide dei bisogni di abraham maslow

    Psicologia Individuale

    La Piramide dei Bisogni di Abraham Maslow

    Teoria della motivazione umana

    di Emanuele Fazio

    Tra le conoscenze più diffuse in ambito psicologico ingenuo, quindi in particolare tra i non addetti ai lavori, si può annoverare la Piramide dei Bisogni di Abraham Maslow, detta anche Teoria della Motivazione Umana.

    Che cos’è la Motivazione

    Secondo l’Associazione Psicologica Americana, la motivazione è la forza che determina movimento e traiettoria verso l’ottenimento di un qualcosa, che può essere sia di natura concreta (ad esempio, del cibo) che di natura astratta (ad esempio, vedere un quadro di Caravaggio).
    In entrambi i casi, l’obiettivo è caratterizzato da uno scopo, cioè il raggiungimento di uno stato psicofisico di benessere con o senza preesistenza di uno stato psicofisico di malessere o disagio.
    Motivazione deriva dal latino motivus, sostantivazione da motus, participio passato di movere – in italiano muovere.

    L’esperienza soggettiva dei comportamenti, pensieri e/o emozioni associati ad un processo di tipo motivazionale, possono essere coscienti, non coscienti oppure un mix tra i due.
    Quanto appena detto implica che molto spesso l’essere umano agisce in funzione dell’ottenimento di un qualcosa, senza esserne cosciente, o senza esserne cosciente del tutto.

    I Bisogni Determinati da Carenza e i Metabisogni

    Nella Piramide dei Bisogni di Abraham Maslow, l’accento è posto sul fatto che l’essere umano ha certamente molti bisogni identici a quelli degli animali non umani.
    Assieme a questi bisogni che definiamo primari, e che Maslow definì bisogni determinati da carenza (deficiency needs), vi sarebbero bisogni di natura esclusivamente umana, che egli chiamò meta-bisogni. 
    Il soddisfacimento dei meta-bisogni dipenderebbe dall’attivazione della meta-motivazione.
    Questi meta-bisogni sono il bisogno di conoscenza (Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza – Dante Alighieri, XXVI canto dell’Inferno, v. 118-120), il bisogno di valori estetici[1], il bisogno di realizzare pienamente e in modo soddisfacente il proprio potenziale (bisogno di autorealizzazione) ed infine il bisogno di provare un esperienza di picco[2] (peak experience).

    Tra i bisogni determinati da carenza e i meta-bisogni, ve ne sono alcuni che si collocano a metà strada tra i bisogni animali e quelli non umani, come ad esempio il bisogno di avere un ruolo sociale (appartenenza e consenso) e il bisogno di ricevere uno status sociale (stima e riconoscimento).

    Il Soddisfacimento Gerarchico dei Bisogni

    Per concludere, Maslow propose che i bisogni umani, di qualunque tipo essi siano, fossero disposti gerarchicamente, con alla base i bisogni primari e in vetta i meta-bisogni.
    Prima di soddisfare i meta-bisogni, l’essere umano ha necessità di soddisfare, anche parzialmente, i bisogni primari.
    E poi in successione ascendente tutti gli altri.
    Appare evidente che un soggetto costantemente impegnato a soddisfare bisogni determinati da carenza, non trovi poi il tempo oppure non avverta il bisogno di soddisfare i meta-bisogni.
    L’arte e la scienza non si sviluppano in quei contesti dove le persone devono lottare per ottenere cibo, sicurezza e, come vedremo in un successivo articolo, appartenenza.
    L’autorealizzazione, il bisogno più elevato che un essere umano può avere, necessita della soddisfazione di tutti i bisogni che gerarchicamente lo precedono.

    Emanuele Fazio
    Psicologo a Roma Nord


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    [1] Il valore estetico è la qualità che un oggetto (un’opera d’arte oppure l’ambiente naturale) possiede in virtù della sua capacità di suscitare piacere, conoscenza (valori positivi) o dispiacere (valore negativo) quando i nostri sensi sono stimolati dal contatto con tale oggetto – [Plato, L., Meskin, A. (2014). Aesthetic Value. In: Michalos, A.C. (eds) Encyclopedia of Quality of Life and Well-Being Research. Springer, Dordrecht

    [2] Esperienza di particolare euforia e benessere che si può vivere in momenti di estrema felicità. È una esperienza che consente alle persone ad entrare in contatto profondo con qualità fondamentali della vita

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  • Skill: parliamone ancora

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    DBT Skills Training

    Parliamo ancora di Skill

    Le skill secondo il PDM-2

    di Emanuele Fazio

    Analizziamo più nel dettaglio il concetto di skill, utilizzando quanto riportato sul manuale diagnostico psicodinamico PDM-2.

    Il PDM-2 individua tre assi dimensionali attraverso i quali è in grado di restituire una valutazione del funzionamento mentale complessivo di una persona, e pertanto collocarla in un punto che si trova lungo il segmento ai cui opposti troviamo la condizione di “mentalmente sano” e di “mentalmente malato”.

    Il funzionamento mentale viene pertanto scisso in:

    Asse P – Dove P sta per personalità. Sono valutati tratti e stili di personalità raccolti in diverse tipologie, che consentono al clinico, in funzione del livello di organizzazione che la persona è in grado di esprimere (sano, nevrotico, borderline, di determinare o meno la diagnosi.

    Asse M – Dove M sta per mentale. Sono valutati i processi base del funzionamento mentale.

    Asse S – Dove S sta per soggettività. Si tratta della capacità di ciascun essere umano a interpretare gli stimoli ambientali e decidere il corso d’azione ritenuto più opportuno (Asse M) alla luce delle proprie emozioni, credenze e conoscenze, quest’ultime derivate da esperienze più o meno analoghe fatte in precedenza.

    Ma vediamo nel dettaglio le dodici skill facenti parte dell’asse M, raggruppate in quattro specie:

    Emanuele Fazio
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    Le quattro tipologie di skill secondo il PDM-2, in funzione di ciò che attengono

    Processi cognitivi (pensiero) ed emotivi:

    • Abilità nell’utilizzo di attenzione e apprendimento;
    • Abilità nell’utilizzo di simbolizzazione e verbalizzazione delle esperienze cognitive, emotive, fisiologiche e comportamentali;
    • Abilità nell’utilizzo dell’empatia e dell’auto-empatia.

    Identità personale identità sociale:

    • Abilità nel collocarsi di volta in volta in un punto che si trova lungo il segmento ai cui opposti troviamo la condizione di “diverso dagli altri” e di “uguale agli altri”, tenendo conto delle opportunità e dei vantaggi che da ciò è possibile ricavare. Comprende l’abilità di costruire e mantenere una adeguata rappresentazione di sé (identità personale) e degli altri (identità sociale) ma soprattutto l’integrazione tra queste due rappresentazioni;
    • Abilità a ricercare, costruire, mantenere e se necessario risolvere, relazioni interpersonali di qualunque tipo (sentimentali, affettive, amicali, sporadiche, etc.);
    • Abilità a monitorare e valutare il livello di efficacia e efficienza nell’esercizio delle due abilità prima dette, ma più in generale, in tutte le abilità elencate, compresa questa. In altre parole, la capacità di effettuare una stima accurata, imparziale e realistica di sé stessi.

    Processi cognitivi, emotivi e comportamentali finalizzati al controllo degli impulsi e al fronteggiamento strategico delle difficoltà:

    • Abilità a controllare gli impulsi e a regolare le proprie emozioni;
    • Abilità a utilizzare le più opportune strategie di fronteggiamento (coping);
    • Abilità ad adattarsi alle circostanze, a mostrare resilienza e a reclutare quando necessario e in modo ottimale tutte le risorse psicofisiche di cui si dispone.

    Consapevolezza di sé e la motivazione:

    • Abilità a comprendere sé stesso;
    • Abilità nel costruire una struttura etico morale a sostegno e aiuto durante il proprio percorso esistenziale;
    • Abilità nel dare un senso alla propria esistenza, a definire bisogni e obiettivi, e a mantenere adeguato e funzionale l’investimento di risorse per il soddisfacimento (anche non immediato) dei bisogni e il raggiungimento degli obiettivi.

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    Sregolazione emotiva

    La sregolazione emotiva è stata definita come l’incapacità di incrementare, mantenere o diminuire le emozioni negative o positive, con il risultato di rendere difficoltoso oppure impossibile il raggiungimento di un obiettivo desiderato ovvero l’adattamento psicofisico e specie-specifico alle situazioni socio-ambientali che si determinano attorno al soggetto. Si tratta di risposte inappropriate data la valenza dello stimolo e/o il contesto. Alcuni esempi sono l’eccesso d’ira, i timori infondati, il non riuscire a riconoscere e a cogliere le buone opportunità, il manifestare gioia in contesti inappropriati

    Emanuele Fazio
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    La regolazione delle emozioni

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    di Emanuele Fazio

    La regolazione delle emozioni

    La regolazione delle emozioni è una componente fondamentale dei processi psicologici, intendendosi l’insieme dei processi attraverso cui sono modulate le emozioni in noi stessi e negli altri. La regolazione delle emozioni e l’autocontrollo degli impulsi sono funzioni cruciali per affrontare efficacemente le complesse dinamiche degli stimoli ambientali, delle relazioni con gli altri e degli stessi processi psichici, costituendo il principale ingrediente del benessere fisico e psicologico.

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  • A che servono le emozioni

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    Glossario di psicologia

    A che servono le emozioni?

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    di Emanuele Fazio

    A che servono le emozioni?

    In termini evolutivi, o darwiniani, la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell’individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza, reazione che non utilizzi cioè processi cognitivi ed elaborazione cosciente. Secondo Antonio Damasio, le emozioni potrebbero non essere un semplice corollario ai processi cognitivi, ma evolutivamente la prima e per lungo tempo unica modalità di acquisire conoscenza circa l’ambiente che circonda l’organismo, con la finalità di consentire all’organismo di riorganizzare la propria struttura e/o le proprie funzioni e/o il proprio comportamento in funzione delle informazioni in entrata, che sono sempre e comunque convertite in reazioni biofisiche e biochimiche del nostro organismo (in primis il cervello). La cognizione rappresenta una modalità di rappresentazione di queste modificazioni biochimice e biofisiche, e che è sempre riducibile a sua volta ad attività biochimiche e biofisiche, tale per cui il comportamento risulta la determinante ultima di tutti questi processi.
    Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione autoregolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche).

    Emanuele Fazio
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  • La teoria delle emozioni di Nico Frijda

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    Glossario di psicologia

    Nico Frijda

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    di Emanuele Fazio

    La teoria delle emozioni di Nico Frijda

    La teoria e il modello teorico esplicativo proposto da Nico Frijda, descrive l’emozione come un fenomeno complesso, multicomponente, che predispone l’organismo ad una o più reazioni. Le componenti sono sei: la valutazione cognitiva, l’esperienza soggettiva, la propriocezione di una spinta ad agire e/o pensare, la reazione fisiologica del sistema nervoso simpatico, la mimica facciale (o espressione facciale delle emozioni) e infine la risposta comportamentale (o coping). Secondo il modello di Frijda, la componente principale è la propriocezione di una spinta ad agire e/o pensare, in quanto tale spinta è in grado di regolare efficacemente l’intero processo, il quale si conclude:

    • con la messa in atto della risposta più adattiva per il soggetto;
    • l’attribuzione di un nome all’emozione provata;
    • l’attivazione di tutti i processi cognitivi secondari.

    Ad esempio, la propriocezione di una tensione muscolare intenzionale verso l’oggetto regola:

    • il comportamento di attacco;
    • l’attribuzione del termine “rabbia” alla propriocezione;
    • l’attivazione di tutti i processi cognitivi secondari (valutazione di ciò che si sta ottenendo per il tramite dell’attacco e valutazione di un cambio di strategia che ottimizzi i costi in funzione dei benefici, che potrebbero includere la fuga (cambio del termine in “paura”).

    Il modello presenta molte affinità concettuali con quello proposto nel 1884 da William James

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  • La teoria biosociale alla base della DBT

    La teoria biosociale alla base della DBT

    DBT Skills Training

    La teoria biosociale

    Alla base della terapia dialettico comportamentale

    di Emanuele Fazio

    La Teoria Biosociale proposta da Marsha Linehan postula che la sregolatezza emotiva è determinata sia da fattori genetici predisponenti che dalle caratteristiche dell’ambiente nel quale il soggetto è cresciuto, in particolare nel periodo tra l’infanzia e l’adolescenza.
    Le caratteristiche principali dell’ambiente, che in associazione con i fattori genetici predisponenti determinano la sregolatezza emotiva, sono quelle che lo rendono sminuente.

    Emanuele Fazio
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    L’ambiente socio-familiare sminuente

    La Teoria Biosociale definisce come ambiente sminuente quello in cui le emozioni, i pensieri e i comportamenti sono giudicati dai genitori o altre figure affini o sostitutive come inopportuni, non in linea con l’etica sociofamiliare di appartenenza.
    Una persona geneticamente predisposta alla sregolatezza emotiva inizia a manifestare le proprie emozioni troppo spesso e in modo molto intenso.
    Ciò può indurre nei genitori o in altre figure affini o sostitutive, sentimenti di disagio e di incomprensione.
    In genere, queste risposte emotive intense e ipersensibili sono regolarmente ignorate oppure punite e giudicate insindacabilmente inappropriate o socialmente inaccettabili.
    Ma il comportamento emotivamente sregolato, soprattutto se l’emozione è stata repressa per lungo tempo, ottiene anche l’effetto di attirare la tanto agognata attenzione.
    Un meccanismo per molti versi assimilabile ai casi di isteria narrati da Freud ed epigoni.

    Il condizionamento operante

    Per effetto del condizionamento operante, la persona apprende che per attirare l’attenzione altrimenti negata o flebile, deve manifestare comportamenti emotivamente sregolati.
    Spesso riceve punizioni, ma qualche volta riceve per l’appunto l’agognata attenzione, che costituisce, secondo il modello dell’analisi del comportamento, una ricompensa.
    Ricompensare in modo saltuario un comportamento ha un potere rinforzante maggiore rispetto al ricompensare costantemente.
    Il risultato è che la manifestazione emotiva sregolata acquista sempre più probabilità di essere messa in atto.

    Per Linehan, un ambiente sminuente sortisce anche l’effetto di non far ben comprendere alla persona che tipo di emozione sta provando in quel preciso momento.
    Infatti, tra le skill DBT insegnate ai clienti, vi è quella di comprendere e dare un nome alla propria emozione.

    Ancora sull’ambiente sminuente

    Secondo la Teoria Biosociale, un altro effetto di un ambiente sminuente è l’ipersemplificazione del processo di problem solving, per cui l’emozione negata, non riconosciuta, sminuita o punita non apporta valenza informativa saliente all’evento che si sta vivendo, per cui la scelta della risposta più appropriata è delegata alla valutazione effettuata dai soli processi cognitivi.
    Il che non sarebbe del tutto limitante, laddove le emozioni apportassero scarsa valenza informativa, come si è sempre creduto prima che Antonio Damasio pubblicasse L’errore di Cartesio e stimolasse l’avvio di un campo di ricerca molto fruttuoso.

    A causa dello straripamento emotivo in atto, che riduce l’efficacia dei circuiti cognitivi, la persona è costretta a fare ricorso, nel migliore dei casi, a cognizioni automatiche (ad esempio le euristiche) ma più frequentemente, soprattutto in soggetti clinici, a risposte impulsive, guidate da riflessi primari come il riflesso attacca o fuggi o il riflesso di freezing.

    La sregolatezza emotiva nei soggetti borderline

    Nei soggetti borderline, ma non solo in essi, lo straripamento emotivo è preceduto o è parallelo al tentativo di regolare l’espressione emotiva per il tramite di comportamenti quali ad esempio il tentativo di suicidio, l’autolesionismo non suicidario attuato attraverso tagli o bruciature inflitti agli arti superiori, inferiori o altre parti del corpo, l’abuso di sostanze oppure la messa in atto di comportamenti ritenuti compensatori, come la promiscuità sessuale, furti, litigi, guida spericolata di veicoli ed altri ancora.

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  • Il disturbo borderline di personalità

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    Psicologia individuale

    Il disturbo borderline di personalità

    Analisi di un fenomeno psicopatologico

    di Emanuele Fazio

    Il disturbo borderline di personalità è una psicopatologia che coinvolge generalmente almeno due dei quattro domini del funzionamento psicosociale di un individuo: cognitivo, emotivo/affettivo, relazionale e comportamentale (in particolare il comportamento riflesso o impulsivo).
    Ciascuno dei quattro domini è ulteriormente scindibile in sottodomini. Per quanto attiene il dominio cognitivo, ad essere compromesso è il sistema di credenze riguardo al sé e la capacità di regolare le emozioni.

    Emanuele Fazio
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    I criteri diagnostici del DBT

    Al pari degli altri disturbi di personalità, il disturbo borderline implica che almeno due dei quattro domini siano disfunzionali, cioè poco o per nulla conformi a ciò che ci si aspetterebbe da un individuo sufficientemente ben integrato e adattato al contesto socioculturale.
    La disfunzione deve essere costante e inoltre difficile, se non impossibile, da ricondurre entro norma da parte dell’individuo, da solo o con l’aiuto di altri non professionisti.
    Nella sua forma cristallizzata dai manuali diagnostici, il disturbo borderline della personalità esordisce durante l’adolescenza o la prima età adulta, sebbene spesso è possibile prevederlo[1] in presenza di fattori di rischio transdiagnostici o di altri sintomi e/o patologie che fungono da possibili precursori, mediatori o moderatori.

    Per trarre diagnosi di disturbo borderline di personalità è necessario che siano soddisfatti almeno cinque su nove cortei sintomatologici tra domini e sottodomini come di seguito elencati.

    Dominio cognitivo e cognitivo/comportamentale
    Scarsa conoscenza di sé stessi

    Il soggetto borderline non riesce a dare a sé stesso e agli altri una descrizione esaustiva e coerente della personalità e del carattere. Allo stesso modo in cui può giudicare una persona appena conosciuta la migliore persona del mondo e dopo brevissimo tempo la peggiore mai conosciuta, la sua capacità di autostima vira repentinamente da un’elevata considerazione di sé (a prescindere dal vero valore) fino a ritenersi assolutamente privo di valore.

    Ideazione paranoide e/o sintomi dissociativi

    Con il termine ideazione paranoide si intende uno o più pensieri ricorrenti e invasivi caratterizzati da sospettosità nei confronti degli altri, immaginati come persecutori o comunque intenzionati a fare del male (non necessariamente di tipo fisico) al soggetto borderline.
    Con il termine sintomi dissociativi, in particolare quelli più comuni tra i soggetti borderline, si intende principalmente la depersonalizzazione e la derealizzazione.
    La depersonalizzazione è la sensazione di sentire la propria mente come separata dal proprio corpo, in grado quindi di osservarlo come se fosse il corpo di un altro oppure sentire la propria mente come se fosse quella di un altro.
    La derealizzazione è invece sentire come estranea e irreale la realtà del mondo esterno, quasi come se si trattasse di un sogno.
    In genere tale corteo sintomatico è di breve durante ed emerge a seguito di un forte stress o trauma.

    Senso di vuoto

    Il soggetto borderline non riesce a stare impegnato in qualcosa ed è costantemente alla ricerca di qualcos’altro da fare, e che possa alleviare il sentimento di noia o di smania che lo pervade.
    Il senso di vuoto in genere predice il ricorso a comportamenti impulsivi (vedi anche sintomi comportamentali) quali l’abuso di sostanze, l’abuso di comportamenti (stare per troppo tempo sui social o su internet) ma anche, qualora il soggetto esca di casa, fare shopping compulsivo, ricercare rapporti sessuali, guida spericolata e ricorso compulsivo a cibo e/o alcol.

    Dominio emotivo/affettivo
    Sentimento ricorrente di essere abbandonati o trascurati da persone che sono ritenute importanti, anche se conosciute da pochissimo tempo e in modo ancora superficiale

    Tale sentimento, agli occhi di un osservatore esterno, può essere sia motivato che del tutto immotivato. A seguito di questo sentimento si determinano reazioni emotive incontrollate e comportamenti impulsivi altrettanto fuori controllo, finalizzati all’evitamento dell’abbandono ma che spesso finiscono proprio per agevolarlo oppure a renderlo più probabile.
    I principali comportamenti impulsivi riguardano soprattutto tentativi di suicidio (o minaccia realistica di metterli in atto) e autolesionismo non suicidario.
    Data l’imprevedibilità dei soggetti borderline, ed anche in funzione di altri sintomi e/o di altri disturbi mentali e di personalità in comorbidità, il soggetto può aggredire e anche uccidere la persona che egli crede stia per abbandonarlo.
    Il livello di aggressività dipende quasi sempre dall’ entità dell’investimento affettivo che il soggetto borderline aveva fatto sulla persona.
    Pertanto, a maggior rischio anche di morte, sono tutte quelle persone che il soggetto, anche se idealmente, aveva elevato come molto significative (alto investimento affettivo).
    Con persone nei confronti delle quali il soggetto borderline aveva investito meno (seppur in modo sproporzionato date le circostanze), il soggetto borderline mette in atto litigi, anche violenti, oppure evitamento rabbioso e risentito, con o senza manifestazioni dirette e/o immediate.

    Sregolatezza emotiva

    Intesa come sbalzi dell’umore repentini e imprevedibili, la sregolatezza emotiva è una risposta a stimoli comunemente non ritenuti emotigeni (principalmente durante l’interazione diretta o indiretta con altre persone) ma ritenuti tali dal soggetto borderline.
    Può trattarsi di euforia e gioia incontenibile, ma più frequentemente si tratta di tristezza, di ansia oppure di paura.
    La rabbia costituisce un sintomo a sé.

    Sregolatezza emotiva riferita alla sola rabbia

    Improvvisa aggressività nei confronti di qualcuno presente oppure assente determinata da uno stimolo. Lo stimolo può essere anche pensato e quindi non presente nella realtà oppure presente ma comunemente non ritenuto emotigeno.

    Dominio relazionale
    Relazioni interpersonali caratterizzate da distanziamento sociale inappropriato

    I soggetti borderline non hanno semplici conoscenti ma solo grandi amici e appassionati amanti (anche se appena conosciuti) con cui sono pronti a condividere emozioni, esperienze e segreti e da cui pretendono pari confidenza.
    Stante tuttavia la mancata reale conoscenza dell’altro, equivocano sistematicamente ogni parola, gesto o comportamento, senza trascurare quello non verbale e prossemico.
    Poiché l’empatia è un sentimento con una elevata matrice cognitiva, la sregolatezza emotiva che ottunde i circuiti cerebrali preposti alla valutazione cognitiva impedisce al soggetto borderline di mettersi nei panni dell’altro, attribuendogli pertanto stati mentali erronei, e generalmente negativi.

    Dominio comportamentale
    Ideazione suicidaria e/o autolesionismo non suicidario

    È interessante rilevare che la richiesta di aiuto da parte dei soggetti borderline scatta in genere all’indomani di un tentativo di suicidio. Anche quando la richiesta di aiuto viene formalizzata da parenti oppure da autorità intervenute dopo il gesto, il soggetto borderline generalmente condivide l’interessamento di terzi.

    Comportamenti impulsivi

    Come in parte anticipato parlando del senso di vuoto, i comportamenti impulsivi tipici del soggetto borderline sono shopping compulsivo (in particolare sostenendo spese non parametrate al proprio reddito oppure al buon senso), ricerca di partner sessuali occasionali, abuso di sostanze e/o comportamenti, guida spericolata (con radio a tutto volume e spesso dopo uso di sostanze), abuso di cibo e/o alcol. I comportamenti impulsivi devono essere almeno due.

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  • La teoria dialettico comportamentale

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    La teoria dialettico comportamentale

    Le basi teoriche dell’approccio DBT

    di Emanuele Fazio

    Che cos’è la teoria dialettico comportamentale

    La Teoria Dialettico Comportamentale è stata sviluppata dalla psicologa e docente universitaria Marsha Linehan.
    Si tratta di un approccio teorico e metodologico che fa utilizzo di teorie e metodi della terapia del comportamento, integrati con paradigmi presi in prestito dalla filosofia, in particolare la dialettica.

    Le origini

    La spinta motivazionale a implementare tale metodo trae le origini dall’esperienza personale di Marsha, fatta durante il passaggio dall’adolescenza alla prima età adulta.
    Pertanto, la teoria dialettico comportamentale fu inizialmente sperimentata su persone con ideazione suicidaria cronica e comportamenti autolesionisti, diventando nel breve volgere di qualche anno il trattamento più efficace con questo tipo di popolazione clinica, generalmente associata al disturbo borderline della personalità.

    Lo stato dell’arte

    Ad oggi, la teoria dialettico comportamentale si è rivelata efficace anche con altre popolazioni cliniche, come le persone affette da disturbi del comportamento alimentare, dipendenze da sostanze e/o comportamenti, disturbi d’ansia e dell’umore, ed altri ancora.
    Inoltre, forme brevi e mirate della terapia dialettico comportamentale, sono utilizzate per migliorare la qualità della vita a persone che non presentano disagio psicologico ma che partendo da una situazione di sostanziale benessere psicologico tendono ad un miglioramento delle proprie skill e all’espressione del loro massimo potenziale.

    Il trattamento DBT nella teoria dialettico comportamentale

    Il trattamento DBT ha avuto molto seguito sia nella comunità scientifica che in quella professionale, non solo per la sua efficacia, dimostrata scientificamente al di là di ogni ragionevole dubbio, ma per l’intrigante commistione di elementi generalmente poco associati tra di loro nella ricerca e nella pratica clinica.
    Tali elementi sono: la biologia, l’ecologia, la spiritualità e la scienza del comportamento (o analisi del comportamento).
    Ulteriore elemento che connota nelle fondamenta la teoria dialettico comportamentale è la dialettica, più precisamente la sintesi tra due istanze contrapposte: modificare il comportamento di una persona senza che essa interpreti tale necessità come un giudizio negativo sul suo modo abituale di essere al mondo.

    Emanuele Fazio
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    Le modalità di intervento

    La terapia dialettico comportamentale più che una terapia (non necessariamente una psicoterapia, ma anche e soprattutto terapia di sostegno psicologico, di abilitazione/riabilitazione alle skill socio-relazionali, di prevenzione primaria, secondaria e terziaria dal disagio psicologico) è un programma terapeutico.
    Si articola, nel trattamento dei casi che necessitano di un maggiore impegno terapeutico, in quattro modalità di intervento.
    La prima è la relazione d’aiuto individuale, dove lo psicologo agisce sulla singola persona per abilitare/riabilitare attraverso tecniche di psicoeducazione e di apprendimento operante, le skill socio-relazionali.
    La seconda è come la prima, ma vede protagonista il gruppo, e disponendo inoltre di un campo di gioco protetto dove è possibile e auspicabile che gli apprendimenti individuali siano messi in pratica, durante la relazione con gli altri membri del gruppo.
    La terza è detta coaching telefonico, dove la persona, in situazioni di particolare stress o disagio emotivo, contatta il terapeuta al fine di ricevere adeguate indicazioni e suggerimenti su come fronteggiare, utilizzando quando già appreso, la situazione nella quale si sta trovando in quel momento, o di cui ha fatto esperienza poco prima.
    La quarta attiene il terapeuta, che si incontra regolarmente con altri terapeuti DBT, per un confronto costruttivo e dinamico su quanto succede durante le tre modalità prima dette.

    L’obiettivo della DBT.

    L’obiettivo della terapia dialettico comportamentale è duplice:

    Motivare al cambiamento/miglioramento.

    Disapprendere un comportamento o una modalità di pensiero che ci ha accompagnato nel corso della nostra esistenza, per quanto foriero di disagio, può generare sentimenti negativi, come senso di colpa, vergogna, scarsa stima di sé, rimpianto o più semplicemente interpretare questa richiesta (dal terapeuta a noi e/o da noi a noi stessi) come un giudizio negativo.
    A seconda della struttura di personalità di ogni singola persona, tali richieste possono sfociare in frustrazione e poi rabbia, verso sé stessi e/o verso il terapeuta e/o gli altri membri del gruppo.

    Migliorare o apprendere nuove skill socio-relazionali.

    Il disagio psicologico, in particolare quando interagiamo con gli altri, deriva da una mancata conoscenza di particolari skill oppure da una insufficiente abilità ad applicare quelle che si conoscono.
    La DBT classifica le skill in quattro categorie, in base alle finalità per cui sono implementate, e cioè:

    • regolare le emozioni (o evitare la sregolazione emotiva);
    • vivere pienamente l’esperienza che si sta facendo in quel preciso momento (skill di mindfulness);
    • avere relazioni interpersonali reciprocamente appaganti e soddisfacenti;
    • gestire le situazioni stressanti.

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