Tag: Marsha Linehan

Marsha Linehan è una psicologa americana.
Docente universitario, ha sviluppato a partire dagli anni ’80 la teoria e il metodo dialettico comportamentale.
Tali teoria e metodo sono alla base di diverse terapie psicologiche, come ad esempio la psicoterapia, il counseling psicologico, il supporto e l’abilitazione/riabilitazione psicologica.

  • Che cos’è la teoria dialettico-comportamentale? La DBT spiegata nei suoi concetti fondamentali

    Che cos’è la teoria dialettico-comportamentale? La DBT spiegata nei suoi concetti fondamentali

    Approfondiamo la teoria dialettico-comportamentale

    Che cos’è la teoria dialettico-comportamentale?

    di Emanuele Fazio

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    Immagine rappresentativa della teoria dialettico-comportamentale

    La teoria dialettico-comportamentale, sviluppata da Marsha Linehan, è una terapia rivoluzionaria per i disturbi emotivi, come il disturbo borderline di personalità. In questo articolo esploriamo le radici di questa teoria, i suoi principi e le applicazioni pratiche che hanno portato speranza a molte persone.

    Introduzione alla teoria dialettico-comportamentale

    Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, la psicologa Marsha Linehan sviluppò una nuova metodologia terapeutica, la Dialectical Behavior Therapy (DBT). Questo metodo, concepito per aiutare persone con gravi difficoltà emotive, ha cambiato radicalmente il trattamento di pazienti che, fino ad allora, erano stati considerati “senza speranza”.


    La DBT unisce principi di accettazione e cambiamento per creare un equilibrio terapeutico, mirato a migliorare la gestione delle emozioni e la qualità delle relazioni interpersonali. Linehan, forte di una lunga esperienza personale e professionale, ha elaborato un approccio innovativo che continua a essere di grande rilevanza nel campo della psicologia e della psichiatria.

    L’esperienza personale di Marsha Linehan e l’origine della teoria

    Marsha Linehan non si avvicinò alla psicologia solo per motivi accademici. Da giovane, attraversò una fase di grave sofferenza psicologica, venendo ricoverata in un centro psichiatrico con una diagnosi iniziale di schizofrenia. Durante quel periodo, visse l’isolamento, l’incomprensione e il dolore di sentirsi considerata “un caso disperato”. Era un’epoca in cui la psichiatria non aveva ancora sviluppato un approccio realmente empatico e curativo per le persone con disturbi complessi.

    Nel tempo, Linehan trovò un equilibrio e intraprese una carriera accademica, diventando ricercatrice e docente presso il dipartimento di psichiatria e scienze comportamentali dell’Università di Washington. Grazie alla sua esperienza e al suo impegno, elaborò un metodo in grado di rispondere alle esigenze di coloro che, come lei, avevano vissuto un disagio psicologico profondo. La DBT fu concepita per aiutare soprattutto pazienti con una marcata difficoltà nel controllo delle proprie emozioni, che spesso sfociava in comportamenti impulsivi e dannosi per sé e per le relazioni interpersonali.

    La psichiatria negli anni ’70 e l’importanza della teoria dialettico-comportamentale

    Negli anni ’70, la psichiatria offriva poche risorse per i casi considerati estremi. Pazienti con forti difficoltà nel controllo emotivo e comportamentale venivano spesso trattati come casi irrecuperabili e sottoposti a terapie invasive come la lobotomia e l’elettroshock, con effetti devastanti. Qualcuno volò sul nido del cuculo, il romanzo di Ken Kesey pubblicato nel 1962 e reso celebre dal film di Miloš Forman con Jack Nicholson, offre una rappresentazione efficace delle dure condizioni e delle pratiche spesso disumanizzanti riservate ai pazienti. La storia rivela l’inefficacia e l’inumanità di alcuni approcci psichiatrici del tempo, mettendo in luce il bisogno urgente di metodi più rispettosi e efficaci.


    In un contesto simile, la DBT portò un cambiamento significativo. Marsha Linehan cercava un’alternativa che rispettasse la dignità del paziente e offrisse strumenti concreti per affrontare la sofferenza. Dimostrò che anche i casi complessi potevano migliorare senza ricorrere a pratiche dannose.

    Il disturbo borderline di personalità e il ruolo del metodo di Linehan

    Una delle condizioni più complesse trattate dal modello terapeutico di Linehan è il disturbo borderline di personalità (DBP). Questo disturbo è caratterizzato da difficoltà nel regolare le emozioni, impulsi autolesionisti, instabilità nelle relazioni e una profonda paura dell’abbandono. La sofferenza può spingere molte persone con DBP verso tentativi di suicidio o comportamenti di autolesionismo.


    È importante notare che il termine “disturbo” non sempre riflette appieno la complessità della patologia. Il termine inglese disorder racchiude una gamma più ampia di sfumature, indicando una condizione che ha ripercussioni significative sulla vita dell’individuo e sulle sue relazioni. Il metodo DBT si è dimostrato particolarmente utile per trattare questa complessa patologia, offrendo ai pazienti un metodo per migliorare il controllo emotivo e costruire relazioni più stabili.

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    Il cuore del metodo dialettico-comportamentale: accettazione e cambiamento

    Linehan, con una formazione in terapia cognitivo-comportamentale (CBT), iniziò a trattare i suoi pazienti secondo le tecniche standard del tempo, focalizzate sul cambiamento dei pensieri e dei comportamenti. Tuttavia, si accorse presto che molti pazienti reagivano male a questo approccio, interpretando l’insistenza sul cambiamento come una forma di colpevolizzazione. La percezione di dover modificare la propria identità e i propri modi di essere può risultare frustrante, specialmente in persone già vulnerabili.


    Linehan quindi decise di combinare l’accettazione dei pazienti con un percorso verso il cambiamento. Questo approccio dialettico, basato sull’equilibrio tra due concetti apparentemente opposti, costituì il fondamento della DBT. Accettare il paziente per ciò che è non significa rinunciare al miglioramento; al contrario, è proprio attraverso l’accettazione che si crea lo spazio necessario per un cambiamento autentico e sostenibile.

    I quattro pilastri della teoria

    • Mindfulness: La capacità di rimanere presenti e consapevoli del momento, senza giudicare. La mindfulness permette di osservare emozioni e pensieri senza esserne sopraffatti, facilitando una risposta più calma e ponderata.
    • Tolleranza allo stress: Rappresenta la capacità di affrontare il disagio emotivo senza ricorrere a comportamenti impulsivi o distruttivi. Gli individui imparano a gestire situazioni difficili sviluppando tecniche per sopportare il dolore psicologico.
    • Regolazione emotiva: Consiste nella capacità di identificare, comprendere e modulare le emozioni per evitare reazioni impulsive. Questa abilità aiuta a migliorare il benessere generale e le relazioni interpersonali.
    • Efficacia interpersonale: Si riferisce alla capacità di comunicare in modo assertivo, rispettare i propri bisogni e quelli degli altri, mantenendo relazioni sane e soddisfacenti.

    Applicazioni pratiche nella vita quotidiana

    Le tecniche apprese con la Dialectical Behavior Therapy non sono utili solo a chi soffre di disturbo borderline; possono essere benefiche per chiunque desideri migliorare la propria gestione emotiva e le relazioni. Ad esempio, una persona sopraffatta dallo stress può usare la mindfulness per concentrarsi sul respiro, calmare la mente e ritrovare lucidità.
    Un’altra applicazione è la tolleranza allo stress. Davanti a una delusione o frustrazione, imparare a riconoscere l’emozione e respirare profondamente aiuta a evitare reazioni esagerate e a trovare una risposta più equilibrata. La DBT offre strumenti concreti per sviluppare una maggiore resilienza e un migliore equilibrio emotivo.

    L’eredità della DBT e il futuro delle terapie basate sull’accettazione

    La Dialectical Behavior Therapy ha aperto nuove prospettive nella psicologia, grazie alla sua combinazione di accettazione e cambiamento. Questo approccio ha ispirato altre terapie, come la terapia dell’accettazione e dell’impegno (ACT), che utilizza principi simili per affrontare problemi psicologici complessi. L’impatto del modello di Linehan è stato significativo e ha portato a una maggiore comprensione della sofferenza emotiva.
    Oggi, il lavoro di Linehan rappresenta una fonte di speranza per molte persone, offrendo strumenti pratici per affrontare le difficoltà emotive. Il metodo DBT dimostra che, anche nei momenti più difficili, è possibile trovare un equilibrio tra accettazione di sé e cambiamento, promuovendo una vita più piena e significativa.

    La teoria dialettico-comportamentale, sviluppata da Marsha Linehan, rappresenta un approccio rivoluzionario alla psicoterapia. Con l’obiettivo di bilanciare accettazione e cambiamento, la DBT offre strumenti concreti per migliorare la regolazione emotiva e il benessere personale, dimostrando che è possibile evolvere anche nelle situazioni più complesse.

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  • Marsha Linehan e la Terapia Dialettico Comportamentale

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    DBT Skills Training

    Marsha Linehan e la terapia dialettico comportamentale

    Breve storia del trattamento DBT

    di Emanuele Fazio

    Marsha Linehan e la terapia dialettico comportamentale

    La terapia dialettica comportamentale (DBT, acronimo di Dialectical Behavior Therapy) è un trattamento psicoterapeutico originariamente sviluppato dalla psicologa statunitense Marsha Linehan tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90.

    Il tutto nasce da un’esperienza personale: Linehan, tra i diciotto e i vent’anni di età, rimase per 26 mesi consecutivi internata in una casa di cura privata per pazienti affetti da disturbi psichiatrici gravi, ricevendo una diagnosi di schizofrenia. Oltre alla circostanza della diagnosi rivelatasi poi errata, nessuna delle cure somministratele sembrava sortire l’effetto sperato. La remissione dei sintomi avvenne in modo quasi spontaneo, agevolata dalla forza di volontà di Linehan che giurò a se stessa e al mondo che sarebbe uscita da quella condizione e avrebbe aiutato gli altri a fare lo stesso, sebbene a quei tempi non avesse ancora ben chiaro il proprio percorso di vita.

    Successivamente intraprese la carriera universitaria, dapprima laureandosi, poi diventando ricercatrice e infine docente, oltre che clinica praticante. Come promesso, Linehan si interessò da subito a studiare e curare pazienti di genere femminile afflitte da ideazione suicidaria cronica e autolesionismo non suicidario, la maggior parte delle quali con disturbo borderline della personalità.

    Emanuele Fazio
    Psicologo a Roma Nord


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    Gli esordi della terapia dialettico comportamentale

    La terapia inizialmente somministrata da Marsha Linehan era quella comportamentale, sulla quale si era formata. Tuttavia, Linehan notò che la maggior parte delle pazienti che aveva in cura virava piuttosto rapidamente verso una resistenza al trattamento, e al conseguente abbandono della terapia.

    Ne dedusse, attraverso l’utilizzo di riprese attraverso lo specchio unidirezionale e l’analisi delle sedute, che agire direttamente sul cambiamento del comportamento considerato disfunzionale era vissuto dai pazienti come invalidante. Una prima variazione rispetto al modello standard della terapia comportamentale fu l’introduzione del concetto di accettazione e dei suoi corollari applicativi, influenzata dal lavoro che Steven Hayes stava portando avanti, lavoro che culminerà con l’elaborazione della terapia dell’accettazione e dell’impegno.

    L’aggiunta di strategie di accettazione, secondo Linehan, avrebbero aiutato i pazienti a sentirsi più compresi, il che a sua volta avrebbe contribuito a migliorare la relazione con i terapeuti e a facilitare i loro progressi.

    Tuttavia, Linehan notò che focalizzandosi maggiormente sull’accettazione, molti pazienti continuavano a non rispondere alla terapia.

    L’intuizione fu pertanto quella di sviluppare un’azione terapeutica che integrasse strategie di accettazione e strategie di cambiamento, che Linehan definì dialettica.

    Come ben spiega Paolo Migone: “l’approccio dialettico della Linehan è il seguente: siamo d’accordo sul fatto che il paziente deve cambiare e che noi dobbiamo indurlo a cambiare […] ma questa è solo una faccia della medaglia, in realtà esiste anche il paziente che non può o non vuole cambiare, e questo paziente va comunque compreso, capito, accettato, “validato” emotivamente […].  [U]n buon terapeuta deve essere capace di fare simultaneamente due cose che sembrano opposte: spingere il paziente verso il cambiamento, e anche accettarlo quando non riesce a cambiare”.

    Nel 1993 Linehan pubblica Cognitive-Behavioral Treatment of Borderline Personality Disorder (tradotto e pubblicato in Italia nel 2021, a cura di Lavinia Barone, con il titolo Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline – Il modello DBT), che presenta al grande pubblico gli assunti teorici e metodologici fondamentali dell’approccio.

    Da notare che il titolo non fa ancora menzione esplicita della parola dialectical. Del resto, come la stessa Marsha Linehan ci informa, la terapia (o programma terapeutico) è in prima istanza la risultante dell’applicazione di strategie utilizzate nella terapia cognitiva e nella terapia comportamentale, e finalizzate alla modifica cognitiva e alla modifica comportamentale.

    La DBT è di fatto un interessante mix di teorie e metodi mutuati o ispirati da diversi approcci, tra cui appunto il cognitivo-comportamentale, ma anche la terapia centrata sulla persona di Carl Rogers, la gestalt, la psicologia dinamica, l’approccio sistemico relazionale nonché la pratica della mindfulness e la filosofia dialettica, quest’ultima ispirata dalle concettualizzazioni di Karl Marx.

    L’innovazione della Linehan è quella di puntare direttamente alla modifica emotiva, più precisamente attraverso la regolazione dell’espressione emotiva. L’assunto teorico è che l’incapacità di regolare efficacemente e efficientemente le emozioni, assieme ad una vulnerabilità in gran parte biologica ma anche parzialmente appresa durante lo sviluppo tra l’infanzia e l’adolescenza, determina[1] sia la disregolazione comportamentale che quella cognitiva.

    Si ritiene che le irregolarità biologiche nel temperamento e nel controllo degli impulsi portino alla vulnerabilità emotiva, caratterizzata da un’elevata sensibilità agli stimoli emotivi, un’elevata intensità emotiva e un lento ritorno alla linea di base emotiva.

    La vulnerabilità emotiva è caratterizzata da una elevata sensibilità agli stimoli, siano essi oggettivamente o soggettivamente emotigeni, generalmente precorritrice di un’espressione particolarmente intensa dell’emozione sia fisiologica (asse ipotalamo-ipofisi-surrene, sistema nervoso autonomo simpatico) che psico-motoria (espressione facciale o altre manifestazioni) ma soprattutto dal forte ritardo a ritornare ad una situazione di equilibrio e controllo, anche quando la stimolazione emotigena cessa o riduce il suo effetto attivante.

    L’assunto teorico delle terapie ricadenti nell’ambito più strettamente cognitivo-comportamentale è invece quello che la disregolazione cognitiva in primis e la disregolazione comportamentale in secundis determinano la disregolazione sia emotiva che comportamentale. Per effetto della causalità circolare, si determina un processo di disregolazione reciproca e pertanto un avvitamento a spirale dell’intensità di ciascuna espressione emotiva, comportamentale e cognitiva, e quindi la patologia. Questo effetto è contemplato in entrambi gli approcci appena detti (e in molti altri): la differenza consiste semplicemente su quale fattore (cognitivo, comportamentale o emotivo) intervenire in primo luogo e ancora più specificatamente in quale sotto-fattore. Torneremo successivamente su questa importante specificazione

    Le espressioni comportamentali disfunzionali osservate in pazienti (o che i pazienti osservano in sé stessi) con disregolazione emotiva, sono: eccesso di disforia e/o di euforia, sentirsi insignificanti e privi di scopi e/o obiettivi, manifestazioni incontrollate di rabbia, paura, ansia, gioia, vergogna e molte altre emozioni sia primarie che secondarie.

    Per il modello della DBT, la regolazione emotiva avviene per mezzo di diverse tecniche, insegnate ai pazienti, come ad esempio:

    • comprendere e dare il nome esatto alle proprie emozioni;
    • modificare il comportamento che è guidato esclusivamente o quasi dall’emozione, quindi quello impulsivo;
    • ridurre la vulnerabilità individuale di fronte all’emergere delle emozioni;
    • imparare a gestire le emozioni intense, in particolare quelle negative.

    La scelta della tecnica o delle tecniche più appropriate è funzione della scelta di quale sotto-settore previlegiare nell’intervento, e rappresenta la risultante di una rigorosa analisi del caso.

    [1] in primis su persone con personalità borderline ma ad oggi il modello è applicato a diverse popolazioni sia cliniche che non cliniche

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    Alla base della terapia dialettico comportamentale

    di Emanuele Fazio

    La Teoria Biosociale proposta da Marsha Linehan postula che la sregolatezza emotiva è determinata sia da fattori genetici predisponenti che dalle caratteristiche dell’ambiente nel quale il soggetto è cresciuto, in particolare nel periodo tra l’infanzia e l’adolescenza.
    Le caratteristiche principali dell’ambiente, che in associazione con i fattori genetici predisponenti determinano la sregolatezza emotiva, sono quelle che lo rendono sminuente.

    Emanuele Fazio
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    L’ambiente socio-familiare sminuente

    La Teoria Biosociale definisce come ambiente sminuente quello in cui le emozioni, i pensieri e i comportamenti sono giudicati dai genitori o altre figure affini o sostitutive come inopportuni, non in linea con l’etica sociofamiliare di appartenenza.
    Una persona geneticamente predisposta alla sregolatezza emotiva inizia a manifestare le proprie emozioni troppo spesso e in modo molto intenso.
    Ciò può indurre nei genitori o in altre figure affini o sostitutive, sentimenti di disagio e di incomprensione.
    In genere, queste risposte emotive intense e ipersensibili sono regolarmente ignorate oppure punite e giudicate insindacabilmente inappropriate o socialmente inaccettabili.
    Ma il comportamento emotivamente sregolato, soprattutto se l’emozione è stata repressa per lungo tempo, ottiene anche l’effetto di attirare la tanto agognata attenzione.
    Un meccanismo per molti versi assimilabile ai casi di isteria narrati da Freud ed epigoni.

    Il condizionamento operante

    Per effetto del condizionamento operante, la persona apprende che per attirare l’attenzione altrimenti negata o flebile, deve manifestare comportamenti emotivamente sregolati.
    Spesso riceve punizioni, ma qualche volta riceve per l’appunto l’agognata attenzione, che costituisce, secondo il modello dell’analisi del comportamento, una ricompensa.
    Ricompensare in modo saltuario un comportamento ha un potere rinforzante maggiore rispetto al ricompensare costantemente.
    Il risultato è che la manifestazione emotiva sregolata acquista sempre più probabilità di essere messa in atto.

    Per Linehan, un ambiente sminuente sortisce anche l’effetto di non far ben comprendere alla persona che tipo di emozione sta provando in quel preciso momento.
    Infatti, tra le skill DBT insegnate ai clienti, vi è quella di comprendere e dare un nome alla propria emozione.

    Ancora sull’ambiente sminuente

    Secondo la Teoria Biosociale, un altro effetto di un ambiente sminuente è l’ipersemplificazione del processo di problem solving, per cui l’emozione negata, non riconosciuta, sminuita o punita non apporta valenza informativa saliente all’evento che si sta vivendo, per cui la scelta della risposta più appropriata è delegata alla valutazione effettuata dai soli processi cognitivi.
    Il che non sarebbe del tutto limitante, laddove le emozioni apportassero scarsa valenza informativa, come si è sempre creduto prima che Antonio Damasio pubblicasse L’errore di Cartesio e stimolasse l’avvio di un campo di ricerca molto fruttuoso.

    A causa dello straripamento emotivo in atto, che riduce l’efficacia dei circuiti cognitivi, la persona è costretta a fare ricorso, nel migliore dei casi, a cognizioni automatiche (ad esempio le euristiche) ma più frequentemente, soprattutto in soggetti clinici, a risposte impulsive, guidate da riflessi primari come il riflesso attacca o fuggi o il riflesso di freezing.

    La sregolatezza emotiva nei soggetti borderline

    Nei soggetti borderline, ma non solo in essi, lo straripamento emotivo è preceduto o è parallelo al tentativo di regolare l’espressione emotiva per il tramite di comportamenti quali ad esempio il tentativo di suicidio, l’autolesionismo non suicidario attuato attraverso tagli o bruciature inflitti agli arti superiori, inferiori o altre parti del corpo, l’abuso di sostanze oppure la messa in atto di comportamenti ritenuti compensatori, come la promiscuità sessuale, furti, litigi, guida spericolata di veicoli ed altri ancora.

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  • La teoria dialettico comportamentale

    terapia dialettico comportamentale

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    La teoria dialettico comportamentale

    Le basi teoriche dell’approccio DBT

    di Emanuele Fazio

    Che cos’è la teoria dialettico comportamentale

    La Teoria Dialettico Comportamentale è stata sviluppata dalla psicologa e docente universitaria Marsha Linehan.
    Si tratta di un approccio teorico e metodologico che fa utilizzo di teorie e metodi della terapia del comportamento, integrati con paradigmi presi in prestito dalla filosofia, in particolare la dialettica.

    Le origini

    La spinta motivazionale a implementare tale metodo trae le origini dall’esperienza personale di Marsha, fatta durante il passaggio dall’adolescenza alla prima età adulta.
    Pertanto, la teoria dialettico comportamentale fu inizialmente sperimentata su persone con ideazione suicidaria cronica e comportamenti autolesionisti, diventando nel breve volgere di qualche anno il trattamento più efficace con questo tipo di popolazione clinica, generalmente associata al disturbo borderline della personalità.

    Lo stato dell’arte

    Ad oggi, la teoria dialettico comportamentale si è rivelata efficace anche con altre popolazioni cliniche, come le persone affette da disturbi del comportamento alimentare, dipendenze da sostanze e/o comportamenti, disturbi d’ansia e dell’umore, ed altri ancora.
    Inoltre, forme brevi e mirate della terapia dialettico comportamentale, sono utilizzate per migliorare la qualità della vita a persone che non presentano disagio psicologico ma che partendo da una situazione di sostanziale benessere psicologico tendono ad un miglioramento delle proprie skill e all’espressione del loro massimo potenziale.

    Il trattamento DBT nella teoria dialettico comportamentale

    Il trattamento DBT ha avuto molto seguito sia nella comunità scientifica che in quella professionale, non solo per la sua efficacia, dimostrata scientificamente al di là di ogni ragionevole dubbio, ma per l’intrigante commistione di elementi generalmente poco associati tra di loro nella ricerca e nella pratica clinica.
    Tali elementi sono: la biologia, l’ecologia, la spiritualità e la scienza del comportamento (o analisi del comportamento).
    Ulteriore elemento che connota nelle fondamenta la teoria dialettico comportamentale è la dialettica, più precisamente la sintesi tra due istanze contrapposte: modificare il comportamento di una persona senza che essa interpreti tale necessità come un giudizio negativo sul suo modo abituale di essere al mondo.

    Emanuele Fazio
    Psicologo a Roma Nord


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    Psicologo a Roma nord

    Le modalità di intervento

    La terapia dialettico comportamentale più che una terapia (non necessariamente una psicoterapia, ma anche e soprattutto terapia di sostegno psicologico, di abilitazione/riabilitazione alle skill socio-relazionali, di prevenzione primaria, secondaria e terziaria dal disagio psicologico) è un programma terapeutico.
    Si articola, nel trattamento dei casi che necessitano di un maggiore impegno terapeutico, in quattro modalità di intervento.
    La prima è la relazione d’aiuto individuale, dove lo psicologo agisce sulla singola persona per abilitare/riabilitare attraverso tecniche di psicoeducazione e di apprendimento operante, le skill socio-relazionali.
    La seconda è come la prima, ma vede protagonista il gruppo, e disponendo inoltre di un campo di gioco protetto dove è possibile e auspicabile che gli apprendimenti individuali siano messi in pratica, durante la relazione con gli altri membri del gruppo.
    La terza è detta coaching telefonico, dove la persona, in situazioni di particolare stress o disagio emotivo, contatta il terapeuta al fine di ricevere adeguate indicazioni e suggerimenti su come fronteggiare, utilizzando quando già appreso, la situazione nella quale si sta trovando in quel momento, o di cui ha fatto esperienza poco prima.
    La quarta attiene il terapeuta, che si incontra regolarmente con altri terapeuti DBT, per un confronto costruttivo e dinamico su quanto succede durante le tre modalità prima dette.

    L’obiettivo della DBT.

    L’obiettivo della terapia dialettico comportamentale è duplice:

    Motivare al cambiamento/miglioramento.

    Disapprendere un comportamento o una modalità di pensiero che ci ha accompagnato nel corso della nostra esistenza, per quanto foriero di disagio, può generare sentimenti negativi, come senso di colpa, vergogna, scarsa stima di sé, rimpianto o più semplicemente interpretare questa richiesta (dal terapeuta a noi e/o da noi a noi stessi) come un giudizio negativo.
    A seconda della struttura di personalità di ogni singola persona, tali richieste possono sfociare in frustrazione e poi rabbia, verso sé stessi e/o verso il terapeuta e/o gli altri membri del gruppo.

    Migliorare o apprendere nuove skill socio-relazionali.

    Il disagio psicologico, in particolare quando interagiamo con gli altri, deriva da una mancata conoscenza di particolari skill oppure da una insufficiente abilità ad applicare quelle che si conoscono.
    La DBT classifica le skill in quattro categorie, in base alle finalità per cui sono implementate, e cioè:

    • regolare le emozioni (o evitare la sregolazione emotiva);
    • vivere pienamente l’esperienza che si sta facendo in quel preciso momento (skill di mindfulness);
    • avere relazioni interpersonali reciprocamente appaganti e soddisfacenti;
    • gestire le situazioni stressanti.

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