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Glossario di psicologia

Memoria

Per saperne di più

di Emanuele Fazio

La memoria

La memoria è la facoltà del cervello grazie alla quale molta della nostra esperienza viene trattenuta, codificata, immagazzinata e all’occorrenza decodificata e recuperata. Deriva dal latino memor, con il significato di che si ricorda, derivato a sua volta da una radice sanscrita e presente anche nel greco classico μνημη (mneme).

La memoria è la custodia delle informazioni apprese durante il corso di vita, al fine di utilizzarle nel presente e per quanto riguarda la specie umana, fare previsioni e adottare decisioni in merito a possibili eventi futuri, sia prossimi che anteriori.

Senza il ricordo degli eventi passati, non sarebbe stato possibile lo sviluppo del linguaggio, della cultura, delle relazioni sociali, dell’identità personale e sociale.

Emanuele Fazio
Psicologo a Roma Nord


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Che cos’è la memoria

La memoria è spesso intesa come un sistema di elaborazione delle informazioni con funzionamento in modalità esplicita e implicita, e che coinvolge funzioni cognitive come la sensazione[1], la percezione, l’apprendimento, le emozioni e molte altre ancora. A sua volta la memoria viene coinvolta nelle stesse funzioni, siano esse cognitive, emotive e comportamentali.

Memoria individuale e collettiva

Una prima suddivisione dei diversi tipi di memoria è quella tra memoria individuale e memoria collettiva. La prima elabora informazioni che derivano dall’esperienza del singolo mentre la seconda elabora informazioni che sono condivise tra più individui e che pertanto confluiscono in un particolare magazzino chiamato cultura, in stretta relazione con altri fenomeni come il linguaggio, la comunicazione, l’espressione artistica, la religione.

Memoria di lavoro e memoria a lungo termine

I sistemi sensoriali – vista, udito, olfatto, gusto, tatto, propriocezione[2], sistema vestibolare e interocezione – consentono di rilevare informazioni dal mondo esterno alla mente e sotto forma di stimoli fisici e chimici. I sistemi sensoriali sono inoltre coinvolti nei vari livelli di processamento delle informazioni. Come si diceva prima, la memoria fa parte di questo complesso meccanismo di processamento, ed è possibile distinguerla funzionalmente in memoria di lavoro (working memory) e in memoria di lungo termine. La memoria di lavoro si occupa di codificare, recuperare e decodificare le informazioni; la memoria di lungo termine si occupa di memorizzare i dati attraverso sistemi e modelli categoriali. Tali processi di codifica, recupero e decodifica – nonché di ritenzione o immagazzinamento – vengono espletate per mezzo di strutture e processi sia di natura anatomo-fisiologica che di natura mentale e attraverso una modalità definita esplicita o implicita.

Memoria esplicita e implicita

La modalità esplicita è riconducibile a quel tipo di memoria chiamata appunto esplicita o dichiarativa, e caratterizzata da intenzionalità e consapevolezza dei processi mnesici, mentre la modalità implicita è riconducibile a quel tipo di memoria chiamata appunto implicita o non dichiarativa, e caratterizzata da automaticità e inconsapevolezza di tutto o parte del processo mnesico, oltre che afferente in genere a compiti o procedure di routine, come ad esempio guidare un veicolo dopo anni di esperienza.

Memoria semantica, episodica e autobiografica

La memoria esplicita – o dichiarativa – è ulteriormente categorizzabile in: semantica, episodica e autobiografica.
Al primo tipo appartengono tutte le informazioni codificate in funzione del loro significato, come ad esempio ricordare che un determinato oggetto si chiama barometro e a che cosa serve.
Al secondo tipo appartengono in genere le stesse informazioni, ma collocate in determinate coordinate spazio-temporali, come ad esempio il fatto di aver visto un oggetto chiamato barometro in un determinato luogo e in una determinata circostanza. Pertanto esperienze vissute in terza persona.
Infine, al terzo tipo appartengono tutte quelle informazioni, anche di tipo semantico e episodico, ma che riguardano esperienze vissute in prima persona dall’individuo, come ad esempio il fatto di aver comprato e regalato il barometro alla propria fidanzata.

Memoria procedurale, percettiva e priming

La memoria implicita – o non dichiarativa – è ulteriormente categorizzabile in: procedurale, percettiva e priming.

Procedurale

Al primo tipo appartengono tutte le informazioni acquisite per il tramite di esperienze precedenti e che consentono l’esecuzione di diversi compiti, sia cognitivi che comportamentali/motori ed anche emotivi, senza la consapevolezza cosciente dell’utilizzo di tali esperienze.

Percettiva

Al secondo tipo – detto anche sistema di rappresentazione percettiva – appartengono tutte le informazioni acquisite per il tramite di esperienze precedenti e che consentono il riconoscimento veloce e l’identificazione di oggetti e parole di cui si fa esperienza successiva. Importante specificare che il sistema di rappresentazione percettiva non riconosce il significato degli stimoli, funzione questa che è demandata alla memoria semantica.

Priming

Al terzo tipo appartengono tutte le informazioni acquisite per il tramite di esperienze molto più recenti rispetto a quelle coinvolte nella memoria procedurale e nella memoria percettiva – se non addirittura immediatamente precedenti – e che determinano maggior facilità oppure rallentamento o inibizione della elaborazione successiva delle informazioni.
Inoltre, nel priming della ripetizione, la presentazione di un particolare stimolo sensoriale aumenta la probabilità che il soggetto identifichi più agevolmente lo stesso oppure uno stimolo simile presentato in sequenza, mentre nel priming semantico, la presentazione di uno stimolo dotato di significato cognitivo e/o emotivo influenza il modo in cui i partecipanti interpretano uno stimolo successivo, non necessariamente simile al precedente.

Smemoratezza e amnesia

Difficoltà nell’uso di questa facoltà fondamentale sono definite come smemoratezza e nei casi più gravi amnesia. Forme di malfunzionamento della memoria sono tuttavia rilevabili a vario livello in tutti gli individui, come ad esempio nei casi in cui si rende necessario ricostruire il ricordo di un evento ai fini di rendere testimonianza ad un processo o di prendere una decisione, oppure nelle rievocazioni mnesiche affioranti nel corso di sedute psicanalitiche o di ipnositerapia, o ancora a seguito di traumi fisici o psicologici e in tutti quei casi in cui si è presenza di elevato arousal quale conseguenza di stati emotivi particolarmente intensi, sia positivi che negativi.

Herman Ebbinghaus

Il primo autore a studiare sperimentalmente la memoria e i suoi meccanismi fu Herman Ebbinghaus, che nella seconda metà del XX secolo condusse una serie di esperimenti impersonando il doppio ruolo di sperimentatore e di (unico) soggetto sperimentale, evidenziando l’esistenza di relazioni non casuali tra apprendimento e memoria.

Il metodo implementato da Hebbinghaus – memorizzazione di materiale semplice, come appunto sillabe prive di significato, effettuata in ambiente rigorosamente controllato per evitare l’influenza di altre variabili – fu chiamato apprendimento verbale e ha caratterizzato la successiva ricerca, fino ai nostri giorni.

In particolare postulò – tra le altre cose – la cosiddetta curva dell’oblio, denominazione di quel particolare fenomeno per cui a seguito dell’apprendimento di sillabe senza senso, si assiste ad un improvviso calo della ritenzione poco dopo l’apprendimento, seguito da un declino più graduale in seguito.
Postulò inoltre l’effetto distanziamento (spacing effect), cioè quel fenomeno per cui l’apprendimento scaglionato in diverse e brevi sessioni di studio porta ad una migliore ritenzione del materiale appreso rispetto a poche e lunghe sessioni.

Endel Tulving

Un approccio alternativo all’apprendimento verbale fu quello introdotto a partire dagli anni ’30 del secolo scorso dalla psicologia della Gestalt.  I teorici di questo movimento provarono a utilizzare nello studio della memoria le evidenze che erano emerse nei loro studi sulla percezione. Diversamente da quanto teorizzato dai primi comportamentisti, la Gestalt enfatizzava l’importanza delle rappresentazioni interne che i singoli soggetti sperimentali modellavano degli stimoli, evidenziando il ruolo attivo – e non passivo, come invece ipotizzava il comportamentismo – del soggetto che apprende. La Gestalt influenzò il lavoro di un importante psicologo della memoria: Endel Tulving, il primo a teorizzare due tipologie distinte di memoria esplicita: la memoria semantica e la memoria episodica.

Un altro contributo di Tulving è stato quello di distinguere tra memoria esplicita (consapevole) e memoria implicita (automatica), in particolare attraverso lo studio dei meccanismi di priming, come già evidenziato all’inizio di questo elaborato.

Frederic Charles Bartlett

Un ulteriore approccio che prendeva le mosse dal concetto di rappresentazioni interne proposto dalla Gestalt fu quello di Frederic Charles Bartlett, il quale piuttosto che studiare la capacità di ritenzione di dati privi di significato al termine di specifiche sessioni di apprendimento, era più interessato a studiare il modo con cui tali dati venivano codificati e immagazzinati per poi essere all’occorrenza recuperati e decodificati. Il suo metodo consisteva nel proporre ai soggetti sperimentali un racconto proveniente da una cultura diversa – nel suo caso era quella dei nativi americani. Successivamente veniva richiesto di ripetere la narrazione, evidenziandosi in tal modo la circostanza per cui i soggetti sperimentali ripetevano la storia accorciandola rispetto alla versione originale, e modificando sia la sintassi che il significato in funzione del proprio punto di vista culturale, che era quello occidentale.

A differenza di Ebbinghaus, Bartlett esplorava quindi l’influenza della componente semantica del dato appreso sulla componente sintattica, la forma assunta dal contenitore in funzione del dato contenuto, forma che a sua volta modifica il contenuto in un processo di feedback circolare. Tale componente semantica era inoltre influenzata da quanto precedentemente appreso e conosciuto, sia in termini di memoria individuale che di memoria sociale, come già visto in apertura.

Il concetto di schema

Ecco introdotto il concetto di schema, una struttura mentale che rappresenta un dato oggetto del mondo, comprese le sue qualità e le relazioni tra queste. Gli schemi sono astrazioni che semplificano lo stare al mondo, secondo il noto assunto heideggeriano. Secondo Bartlett, anche le persone significative della nostra vita che abbiamo elevato – consapevolmente o inconsapevolmente – a modelli da imitare, emulare oppure semplicemente da tenere in considerazione sono immagazzinati nei nostri ricordi sotto forma di schemi.

Alan Baddeley

La definizione working memory è l’evoluzione della precedente definizione memoria a breve termine (originariamente postulata da Pribram e Galanter) ed è stata proposta da uno dei massimi studiosi contemporanei, Alan Baddeley.

Si intende un sistema di ritenzione a breve termine dell’informazione in entrata che ne permetta la manipolazione e l’elaborazione ai fini dell’apprendimento, del ragionamento e infine dell’immagazzinamento nella cosiddetta memoria a lungo termine. È pertanto un sistema di memoria che sostiene la nostra capacità di “tenere a mente le cose” quando si eseguono compiti complessi. Il modello proposto da Baddeley prevede quattro componenti: il taccuino visuo-spaziale, che aiuta a mantenere le informazioni visive e la loro collocazione nello spazio, il loop fonologico, che aiuta a mantenere le informazioni sonore (in genere il linguaggio). Si tratta in entrambi i casi di sistemi di memoria, in quanto è possibile applicare su di essi le note mnemotecniche. La terza componente è l’esecutivo centrale, un meccanismo di controllo (e quindi non un sistema di memoria) che sovrintende l’intero processo e che è responsabile inoltre di assegnare le risorse attentive che ritiene più opportune ai vari stimoli (visivi e sonori in primis). Una quarta componente fu aggiunta da Baddeley nel 2000 e chiamata episodic buffer, un meccanismo in grado di trattenere un flusso di dati (streaming) per alcuni istanti e che mette in collegamento la working memory con la memoria a lungo termine, in particolare con la cosiddetta memoria episodica. Più specificatamente, opera una codifica dei dati in entrata tale da consentire il recupero dalla memoria episodica di altri dati codificati allo stesso modo e sovrintende anche l’immagazzinamento dei dati raccolti e codificati.

 

[1] È discutibile l’appartenenza dei processi sensoriali alla categoria dei processi cognitivi. Infatti la sensazione, per mezzo dei suoi agenti – i sensi – è prevalentemente fisico-chimica e molto poco mentale, stante che i sensi catturano e trasmettono per via afferente al cervello informazioni circa l’esistenza e l’essenza dei molteplici fenomeni fisico-chimici che accadono attorno all’individuo. Tali fenomeni fisico-chimici sono ad esempio le onde elettromagnetiche che consentono sia la visione che l’ascolto, e i fenomeni prodotti dalla meccanica delle molecole (cinematica, dinamica e statica), che consentono il tatto, il gusto e l’olfatto.

[2] La sensazione del corpo in movimento e delle singole posizioni assunte, quale risultante della stimolazione dei propriocettori dei muscoli. La propriocezione ha la finalità di determinare l’orientamento spaziale (senza l’ausilio della vista) e di mantenere una postura stabile

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