Marsha Linehan e la Terapia Dialettico Comportamentale

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DBT Skills Training

Marsha Linehan e la terapia dialettico comportamentale

Breve storia del trattamento DBT

di Emanuele Fazio

Marsha Linehan e la terapia dialettico comportamentale

La terapia dialettica comportamentale (DBT, acronimo di Dialectical Behavior Therapy) è un trattamento psicoterapeutico originariamente sviluppato dalla psicologa statunitense Marsha Linehan tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90.

Il tutto nasce da un’esperienza personale: Linehan, tra i diciotto e i vent’anni di età, rimase per 26 mesi consecutivi internata in una casa di cura privata per pazienti affetti da disturbi psichiatrici gravi, ricevendo una diagnosi di schizofrenia. Oltre alla circostanza della diagnosi rivelatasi poi errata, nessuna delle cure somministratele sembrava sortire l’effetto sperato. La remissione dei sintomi avvenne in modo quasi spontaneo, agevolata dalla forza di volontà di Linehan che giurò a se stessa e al mondo che sarebbe uscita da quella condizione e avrebbe aiutato gli altri a fare lo stesso, sebbene a quei tempi non avesse ancora ben chiaro il proprio percorso di vita.

Successivamente intraprese la carriera universitaria, dapprima laureandosi, poi diventando ricercatrice e infine docente, oltre che clinica praticante. Come promesso, Linehan si interessò da subito a studiare e curare pazienti di genere femminile afflitte da ideazione suicidaria cronica e autolesionismo non suicidario, la maggior parte delle quali con disturbo borderline della personalità.

Emanuele Fazio
Psicologo a Roma Nord


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Gli esordi della terapia dialettico comportamentale

La terapia inizialmente somministrata da Marsha Linehan era quella comportamentale, sulla quale si era formata. Tuttavia, Linehan notò che la maggior parte delle pazienti che aveva in cura virava piuttosto rapidamente verso una resistenza al trattamento, e al conseguente abbandono della terapia.

Ne dedusse, attraverso l’utilizzo di riprese attraverso lo specchio unidirezionale e l’analisi delle sedute, che agire direttamente sul cambiamento del comportamento considerato disfunzionale era vissuto dai pazienti come invalidante. Una prima variazione rispetto al modello standard della terapia comportamentale fu l’introduzione del concetto di accettazione e dei suoi corollari applicativi, influenzata dal lavoro che Steven Hayes stava portando avanti, lavoro che culminerà con l’elaborazione della terapia dell’accettazione e dell’impegno.

L’aggiunta di strategie di accettazione, secondo Linehan, avrebbero aiutato i pazienti a sentirsi più compresi, il che a sua volta avrebbe contribuito a migliorare la relazione con i terapeuti e a facilitare i loro progressi.

Tuttavia, Linehan notò che focalizzandosi maggiormente sull’accettazione, molti pazienti continuavano a non rispondere alla terapia.

L’intuizione fu pertanto quella di sviluppare un’azione terapeutica che integrasse strategie di accettazione e strategie di cambiamento, che Linehan definì dialettica.

Come ben spiega Paolo Migone: “l’approccio dialettico della Linehan è il seguente: siamo d’accordo sul fatto che il paziente deve cambiare e che noi dobbiamo indurlo a cambiare […] ma questa è solo una faccia della medaglia, in realtà esiste anche il paziente che non può o non vuole cambiare, e questo paziente va comunque compreso, capito, accettato, “validato” emotivamente […].  [U]n buon terapeuta deve essere capace di fare simultaneamente due cose che sembrano opposte: spingere il paziente verso il cambiamento, e anche accettarlo quando non riesce a cambiare”.

Nel 1993 Linehan pubblica Cognitive-Behavioral Treatment of Borderline Personality Disorder (tradotto e pubblicato in Italia nel 2021, a cura di Lavinia Barone, con il titolo Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline – Il modello DBT), che presenta al grande pubblico gli assunti teorici e metodologici fondamentali dell’approccio.

Da notare che il titolo non fa ancora menzione esplicita della parola dialectical. Del resto, come la stessa Marsha Linehan ci informa, la terapia (o programma terapeutico) è in prima istanza la risultante dell’applicazione di strategie utilizzate nella terapia cognitiva e nella terapia comportamentale, e finalizzate alla modifica cognitiva e alla modifica comportamentale.

La DBT è di fatto un interessante mix di teorie e metodi mutuati o ispirati da diversi approcci, tra cui appunto il cognitivo-comportamentale, ma anche la terapia centrata sulla persona di Carl Rogers, la gestalt, la psicologia dinamica, l’approccio sistemico relazionale nonché la pratica della mindfulness e la filosofia dialettica, quest’ultima ispirata dalle concettualizzazioni di Karl Marx.

L’innovazione della Linehan è quella di puntare direttamente alla modifica emotiva, più precisamente attraverso la regolazione dell’espressione emotiva. L’assunto teorico è che l’incapacità di regolare efficacemente e efficientemente le emozioni, assieme ad una vulnerabilità in gran parte biologica ma anche parzialmente appresa durante lo sviluppo tra l’infanzia e l’adolescenza, determina[1] sia la disregolazione comportamentale che quella cognitiva.

Si ritiene che le irregolarità biologiche nel temperamento e nel controllo degli impulsi portino alla vulnerabilità emotiva, caratterizzata da un’elevata sensibilità agli stimoli emotivi, un’elevata intensità emotiva e un lento ritorno alla linea di base emotiva.

La vulnerabilità emotiva è caratterizzata da una elevata sensibilità agli stimoli, siano essi oggettivamente o soggettivamente emotigeni, generalmente precorritrice di un’espressione particolarmente intensa dell’emozione sia fisiologica (asse ipotalamo-ipofisi-surrene, sistema nervoso autonomo simpatico) che psico-motoria (espressione facciale o altre manifestazioni) ma soprattutto dal forte ritardo a ritornare ad una situazione di equilibrio e controllo, anche quando la stimolazione emotigena cessa o riduce il suo effetto attivante.

L’assunto teorico delle terapie ricadenti nell’ambito più strettamente cognitivo-comportamentale è invece quello che la disregolazione cognitiva in primis e la disregolazione comportamentale in secundis determinano la disregolazione sia emotiva che comportamentale. Per effetto della causalità circolare, si determina un processo di disregolazione reciproca e pertanto un avvitamento a spirale dell’intensità di ciascuna espressione emotiva, comportamentale e cognitiva, e quindi la patologia. Questo effetto è contemplato in entrambi gli approcci appena detti (e in molti altri): la differenza consiste semplicemente su quale fattore (cognitivo, comportamentale o emotivo) intervenire in primo luogo e ancora più specificatamente in quale sotto-fattore. Torneremo successivamente su questa importante specificazione

Le espressioni comportamentali disfunzionali osservate in pazienti (o che i pazienti osservano in sé stessi) con disregolazione emotiva, sono: eccesso di disforia e/o di euforia, sentirsi insignificanti e privi di scopi e/o obiettivi, manifestazioni incontrollate di rabbia, paura, ansia, gioia, vergogna e molte altre emozioni sia primarie che secondarie.

Per il modello della DBT, la regolazione emotiva avviene per mezzo di diverse tecniche, insegnate ai pazienti, come ad esempio:

  • comprendere e dare il nome esatto alle proprie emozioni;
  • modificare il comportamento che è guidato esclusivamente o quasi dall’emozione, quindi quello impulsivo;
  • ridurre la vulnerabilità individuale di fronte all’emergere delle emozioni;
  • imparare a gestire le emozioni intense, in particolare quelle negative.

La scelta della tecnica o delle tecniche più appropriate è funzione della scelta di quale sotto-settore previlegiare nell’intervento, e rappresenta la risultante di una rigorosa analisi del caso.

[1] in primis su persone con personalità borderline ma ad oggi il modello è applicato a diverse popolazioni sia cliniche che non cliniche

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