Categoria: Psicologia individuale

  • Il modello delle emozioni di Frijda e Lazarus

    Il modello delle emozioni di Frijda e Lazarus

    Glossario di psicologia

    Il modello delle emozioni di Frijda e Lazarus

    Per saperne di più

    di Emanuele Fazio

    Il modello delle emozioni di Frijda e Lazarus

    In un precedente articolo, ho parlato del rapporto tra emozione e motivazione. Ho inoltre accennato al modello di Frijda e Lazarus, sostenendo che l’emozione è un fenomeno complesso e formato da diverse componenti; l’emozione attiva e guida uno o più comportamenti (sia motori che mentali). Secondo Frijda e Lazarus, ogni singola emozione consta di almeno sei componenti. La sequenza con cui queste componenti si dispiegano varia a seconda del modello teorico postulato.

    Mi limito per adesso ad elencarle senza attribuire sequenzialità. Iniziamo dalla prima componente: la valutazione cognitiva (cognitive appraisal).

    Emanuele Fazio
    Psicologo a Roma Nord


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    Il modello delle emozioni di Frijda e Lazarus

    La teoria della valutazione cognitiva (proposta da Richard Lazarus), postula che alla base di ogni emozione vi sia una valutazione cognitiva. Tale valutazione è composta da due fasi, una valutazione primaria e una valutazione secondaria. Pertanto i processi cognitivi (specialmente quelli che sono reclutati per la valutazione) sono un elemento fondante dell’emozione propriamente detta. Gli altri due processi coinvolti, sempre secondo il modello proposto da Lazarus, sono il processo motivazionale prima spiegato e un processo chiamato relazionale che attiene la salienza attribuita in prima istanza (quindi prima ancora che il processo cognitivo si attivi), che si misura in valenza (positiva oppure negativa) e intensità (vari gradi di intensità).

    Quindi la prima componente è cognitiva ed è chiamata valutazione cognitiva. Accade qualcosa nell’ambiente o nella particolare relazione che lega l’uomo al suo ambiente per cui l’uomo valuta che qualcosa sta accedendo e che merita attenzione. Si tratta di una componente di cui non abbiamo totale consapevolezza che si sta dispiegando.

    La seconda componente è detta dell’esperienza soggettiva e di cui abbiamo maggiore consapevolezza cosciente: alla valutazione cognitiva (in gran parte automatica sebbene consapevole) si aggiunge l’esperienza cosciente che si sta provando un’emozione. O meglio, percepisco attraverso i sensi interni che sto provando una emozione, attraverso due dimensioni: la tonalità affettiva (positiva, negativa oppure un mix di entrambe) e l’intensità.

    La terza componente coinvolge ancora i sensi interni: è la propriocezione di una spinta ad agire o a pensare in funzione delle due componenti prima dette. Ad esempio propriocepisco che c’è qualcosa di saliente attorno a me, che mi sta stimolando emozione e che mi spinge a fare o pensare. Comprende l’intenzione e/o la pulsione (e il suo relativo grado di controllo) ad agire. Oltre quindi ad una reattività fisiologica che coinvolge il sistema nervoso autonomo (simpatico), e che costituisce la quarta componente, si avverte, e sempre per il tramite dei sensi interni, la reattività motoria nonché la spinta reattiva del sistema parasimpatico (l’altra metà del sistema nervoso autonomo).

    La quarta componente, come già anticipato, è la reazione fisiologica, che parte dal sistema nervoso autonomo (sistema simpatico) e procede con l’attivazione dell’asse HPA.

    La quinta componente è l’espressione facciale. Si tratta di una primissima forma di risposta muscolare e può essere reattiva oppure mediata.

    L’ultima componente è la risposta vera e propria all’emozione, che può essere reattiva oppure mediata (strategia di coping). È come se l’impeto energetico scatenato fosse lasciato libero di fluire dopo aver sistemato alcuni argini e sbarramenti idonei a canalizzarlo verso un’azione la più efficace possibile.

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  • La piramide dei bisogni di Abraham Maslow

    La piramide dei bisogni di abraham maslow

    Psicologia Individuale

    La Piramide dei Bisogni di Abraham Maslow

    Teoria della motivazione umana

    di Emanuele Fazio

    Tra le conoscenze più diffuse in ambito psicologico ingenuo, quindi in particolare tra i non addetti ai lavori, si può annoverare la Piramide dei Bisogni di Abraham Maslow, detta anche Teoria della Motivazione Umana.

    Che cos’è la Motivazione

    Secondo l’Associazione Psicologica Americana, la motivazione è la forza che determina movimento e traiettoria verso l’ottenimento di un qualcosa, che può essere sia di natura concreta (ad esempio, del cibo) che di natura astratta (ad esempio, vedere un quadro di Caravaggio).
    In entrambi i casi, l’obiettivo è caratterizzato da uno scopo, cioè il raggiungimento di uno stato psicofisico di benessere con o senza preesistenza di uno stato psicofisico di malessere o disagio.
    Motivazione deriva dal latino motivus, sostantivazione da motus, participio passato di movere – in italiano muovere.

    L’esperienza soggettiva dei comportamenti, pensieri e/o emozioni associati ad un processo di tipo motivazionale, possono essere coscienti, non coscienti oppure un mix tra i due.
    Quanto appena detto implica che molto spesso l’essere umano agisce in funzione dell’ottenimento di un qualcosa, senza esserne cosciente, o senza esserne cosciente del tutto.

    I Bisogni Determinati da Carenza e i Metabisogni

    Nella Piramide dei Bisogni di Abraham Maslow, l’accento è posto sul fatto che l’essere umano ha certamente molti bisogni identici a quelli degli animali non umani.
    Assieme a questi bisogni che definiamo primari, e che Maslow definì bisogni determinati da carenza (deficiency needs), vi sarebbero bisogni di natura esclusivamente umana, che egli chiamò meta-bisogni. 
    Il soddisfacimento dei meta-bisogni dipenderebbe dall’attivazione della meta-motivazione.
    Questi meta-bisogni sono il bisogno di conoscenza (Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza – Dante Alighieri, XXVI canto dell’Inferno, v. 118-120), il bisogno di valori estetici[1], il bisogno di realizzare pienamente e in modo soddisfacente il proprio potenziale (bisogno di autorealizzazione) ed infine il bisogno di provare un esperienza di picco[2] (peak experience).

    Tra i bisogni determinati da carenza e i meta-bisogni, ve ne sono alcuni che si collocano a metà strada tra i bisogni animali e quelli non umani, come ad esempio il bisogno di avere un ruolo sociale (appartenenza e consenso) e il bisogno di ricevere uno status sociale (stima e riconoscimento).

    Il Soddisfacimento Gerarchico dei Bisogni

    Per concludere, Maslow propose che i bisogni umani, di qualunque tipo essi siano, fossero disposti gerarchicamente, con alla base i bisogni primari e in vetta i meta-bisogni.
    Prima di soddisfare i meta-bisogni, l’essere umano ha necessità di soddisfare, anche parzialmente, i bisogni primari.
    E poi in successione ascendente tutti gli altri.
    Appare evidente che un soggetto costantemente impegnato a soddisfare bisogni determinati da carenza, non trovi poi il tempo oppure non avverta il bisogno di soddisfare i meta-bisogni.
    L’arte e la scienza non si sviluppano in quei contesti dove le persone devono lottare per ottenere cibo, sicurezza e, come vedremo in un successivo articolo, appartenenza.
    L’autorealizzazione, il bisogno più elevato che un essere umano può avere, necessita della soddisfazione di tutti i bisogni che gerarchicamente lo precedono.

    Emanuele Fazio
    Psicologo a Roma Nord


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    [1] Il valore estetico è la qualità che un oggetto (un’opera d’arte oppure l’ambiente naturale) possiede in virtù della sua capacità di suscitare piacere, conoscenza (valori positivi) o dispiacere (valore negativo) quando i nostri sensi sono stimolati dal contatto con tale oggetto – [Plato, L., Meskin, A. (2014). Aesthetic Value. In: Michalos, A.C. (eds) Encyclopedia of Quality of Life and Well-Being Research. Springer, Dordrecht

    [2] Esperienza di particolare euforia e benessere che si può vivere in momenti di estrema felicità. È una esperienza che consente alle persone ad entrare in contatto profondo con qualità fondamentali della vita

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  • Le emozioni

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    Psicologia individuale

    Le emozioni

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    di Emanuele Fazio

    Secondo la definizione della Associazione Psicologica Americana, le emozioni sono un modello fenomenico complesso, di natura reattiva, che coinvolge varie esperienze soggettive, sia di natura fisica (comportamenti, riflessi, attivazione fisiologica) che psicologica (esperienza soggettiva, processi cognitivi), non sempre a livello cosciente. Si tratta di un modello funzionale evolutosi per fronteggiare fenomeni o eventi con il quale un organismo entra costantemente in relazione significativa.

    Emanuele Fazio
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    Etimologia

    Deriva dal latino emotionem, a sua volta derivato dalla sostantivazione di emotus, participio passato del verbo emovere, nel significato di trasportare fuori, smuovere, scuotere (da cui anche “scosso”). Emovere è a sua volta composto dal prefisso e- nel significato di “da”, moto da luogo, e da movere, nel significato di agitare, muovere.

    Caratteristiche delle emozioni

    L’emozione ha effetto sugli aspetti cognitivi: può causare diminuzioni o miglioramenti nella capacità di concentrazione, confusione, smarrimento, allerta, e così via. Il volto e il linguaggio verbale possono quindi riflettere all’esterno le emozioni più profonde: una voce tremolante, un tono alterato, un sorriso solare, la fronte corrugata indicano la presenza di uno specifico stato emotivo.

    Differenza tra emozione, sentimento, affetto e umore o stato d’animo

    Damasio ha proposto la seguente differenziazione: l’emozione (emotion) è uno stato mentale in gran parte inconscio, originatosi quale reazione neurobiologica ad un determinato stimolo, per il tramite di una serie rapida di attivazioni e/o inibizioni sinaptiche che coinvolgono diverse aree del cervello, in particolare il sistema limbico e la corteccia prefrontale. La funzione è quella di predisporre l’organismo, fisicamente e psicologicamente, ad affrontare uno stimolo emotigeno. Tale predisposizione fa emergere tutta una serie di altri fenomeni, in primis sensazioni propriocettive corporee, che costituiscono la base dell’esperienza cosciente dell’emozione, e che Damasio chiama coscienza di base (core consciousness) oppure sensazione della sensazione/metasensazione (feeling of feeling). 

    Il sentimento

    Un fenomeno intermedio è costituito dal sentimento (core feeling), non ancora cosciente e che si verifica durante l’emersione alla coscienza delle altre componenti: la valutazione cognitiva, l’esperienza soggettiva, la propriocezione di una spinta ad agire e/o pensare, la reazione fisiologica del sistema nervoso simpatico, la mimica facciale (o espressione facciale delle emozioni) e la risposta comportamentale (o coping).

    Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d’animo, anche se questi termini vengono spesso usati indifferentemente nel senso comune.

    A che servono le emozioni?

    Secondo Antonio Damasio, le emozioni potrebbero non essere un semplice corollario ai processi cognitivi, ma evolutivamente la prima e per lungo tempo unica modalità di acquisire conoscenza circa l’ambiente che circonda l’organismo, con la finalità di consentire all’organismo di riorganizzare la propria struttura e/o le proprie funzioni e/o il proprio comportamento in funzione delle informazioni in entrata, che sono sempre e comunque convertite in reazioni biofisiche e biochimiche del nostro organismo (in primis il cervello). La cognizione rappresenta una modalità di rappresentazione di queste modificazioni biochimiche e biofisiche, e che è sempre riducibile a sua volta ad attività biochimiche e biofisiche, tale per cui il comportamento risulta la determinante ultima di tutti questi processi.

    Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione autoregolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche).

    Classificazione delle emozioni

    Le differenti emozioni dipendono dal significato o salienza attribuita dal soggetto allo stimolo, primariamente in funzione del tono affettivo (aversivo, appetitivo o un mix di entrambi) e dell’intensità.

    Antonio Damasio, distingue due tipi di emozione: le emozioni primarie, che sono innate e preorganizzate e le emozioni secondarie, che sono elaborate dall’esperienza attraverso i circuiti del “come se”. Secondo Damasio, si possono avere delle reazioni emotive, delle quali però si è inconsapevoli, anche in assenza di modificazioni psicofisiologiche. Inoltre, “è possibile che siamo predisposti a rispondere con un’emozione, in modo preorganizzato, quando vengono percepite nel mondo esterno o nel nostro corpo – isolatamente o in combinazione – certe caratteristiche di stimoli, di cui sono esempi la dimensione (come per gli animali grossi); l’estensione (come per l’apertura alare dell’aquila); il tipo di movimento (come per i rettili); certi suoni (come il ringhio); certe configurazioni di stati del corpo (come il dolore che si avverte durante un attacco cardiaco)”. 

    Il ruolo dell’amigdala

    L’amigdala elabora in parallelo gli stimoli prima detti e definisce una sorta di algoritmo che si associa ad un altro algoritmo (un meccanismo chiamato matching). Quest’ultimo algoritmo è di tipo disposizionale e man mano che il primo si delinea, si delinea anch’esso (molto simile come meccanismo a quello della scrittura predittiva o facilitata degli smartphone), iniziando ad allertare, pre-attivare e attivare aree e nuclei cerebrali preposti a funzioni cognitive, somato-sensoriali e motorie e che a sua volta determinano le emozioni secondarie. Dice Damasio: “Il sentire l’emozione diventa pertanto un fenomeno emergente quale insieme diverso dalla semplice somma delle parti, cioè quelle parti che autonomamente e con tempi di reazione/attivazione diversi sono intervenuti per un “primo intervento” e successivamente, anche grazie alla comunicazione a feedback circolare, affinano l’esperienza”.

    Le teorie delle emozioni

    Secondo la maggior parte delle teorie moderne, le emozioni sono un processo multi-componenziale, cioè articolato in più componenti e con un decorso temporale che evolve.

    Cannon – Bard

    Tra le tipologie di risposta o reazione vi sono i riflessi e per quanto attiene alla risposta a stimoli aversivi di elevata intensità, il riflesso principale è quello detto “reazione di attacco o fuga” (fight-or-flight response), concettualizzato negli anni venti del ventesimo secolo da proprio da Cannon e Bard.

    James – Lange

    James – Lange sta per William James e Carl Lange, quest’ultimo un medico danese. Essi condussero i loro studi senza che l’uno fosse a conoscenza del lavoro dell’altro. Nel capitolo 25 del suo “Principi di Psicologia” del 1890, James scrive: “I cambiamenti corporei seguono immediatamente la percezione dello stimolo emotigeno, e che la nostra sensazione di questi stessi cambiamenti mentre si stanno verificando È l’emozione”. Quindi, secondo James, la percezione non cosciente di un fenomeno emotigeno o stressorio – come ad esempio la comparsa di un serpente – determina una modifica fisiologica nel soggetto coinvolto. La prima percezione cosciente del soggetto non è la vista del serpente, ma la modifica fisiologica, che secondo James è specifica per quel tipo di emozione. A seguire, il soggetto abbina un nome alla modifica fisiologica e attribuisce la causa al serpente. 

    La sequenza dei fenomeni

    La sequenza dei fenomeni è pertanto la seguente:

    1. Stimolo avversivo colto dal sistema visivo con immediata risposta fisiologica preparatoria alla risposta più appropriata, che nel nostro caso è plausibilmente la fuga (il tutto senza consapevolezza del soggetto).
    2. Propriocezione cosciente dell’attivazione della risposta fisiologica, che secondo James è specifica per quel tipo di emozione. Questo è il motivo per cui il soggetto comprende coscientemente che si tratta di paura senza il coinvolgimento di strutture della neocorteccia: la risposta fisiologica specifica per ogni tipo di emozione, in particolare per le emozioni di base, contiene già l’informazione “paura”.
    3. Associazione della causa (il serpente) per emersione alla coscienza della visione: ho paura perché ho visto un serpente.

    Nel modello di James, la risposta fisiologica preconscia è la risposta riflessa di fuga – come sarà successivamente chiamata da Cannon – e quindi avviene prima che il soggetto abbia contezza cosciente del pericolo. Come dire: il soggetto inizia a scappare senza ancora sapere coscientemente il perché. Per James, la risposta fisiologica è sufficiente a fornire le basi per l’esperienza soggettiva cosciente dell’emozione. L’attribuzione cosciente della causa completa l’esperienza.

    La teoria dell’emozione costruita di Lisa Feldman Barrett[

    Secondo la teoria della Feldman Barrett, le emozioni vengono prodotte dal nostro cervello per il tramite di una procedura facilitata (quasi una sorta di funzione T9) che si attiva tutte le volte che vi è necessità, una funzione o processo di codifica predittiva o elaborazione predittiva che nell’ambito delle neuroscienze è modellizzato postulando che il cervello genera continuamente modelli dell’ambiente in risposta a possibili stimoli che da quest’ultimo potrebbero arrivare alla percezione, in aggiunta oppure in sostituzione di effettivi stimoli.

    Per la Feldman Barrett, gli individui, piuttosto che fare esperienza di emozioni discrete e già classificate come paura, gioia o rabbia, fanno esperienza di stati affettivi grezzi sui quali poi inferiscono propri stati mentali e a cui attribuiscono etichette discrete, come appunto paura, gioia o rabbia. Tutto ciò avviene grazie alla attivazione di numerosi network neurali, che concorrono all’esperienza affettiva e determinano la personale costruzione dell’esperienza emotiva complessa. Le emozioni non sono pertanto né di base, né innate, e nemmeno apprese. Sono fenomeni emergenti che si determinano in funzione di fattori prevalentemente socio-culturali. Dice la Feldman Barrett: “Durante ogni istante della fase di veglia, il tuo cervello utilizza l’esperienza passata (organizzata in concetti) la quale guida le tue azioni e dà significato alle tue sensazioni. Quando i concetti utilizzati sono concetti associati a stati affettivi, il tuo cervello fa l’esperienza soggettiva di ciò che chiamiamo emozione”.

    La teoria multi-componenziale di Nico Henri Frijda

    La teoria e il modello teorico esplicativo proposto da Frijda, descrive l’emozione come un fenomeno complesso, multicomponente, che predispone l’organismo ad una o più reazioni. Le componenti sono sei: la valutazione cognitiva, l’esperienza soggettiva, la propriocezione di una spinta ad agire e/o pensare, la reazione fisiologica del sistema nervoso simpatico, la mimica facciale (o espressione facciale delle emozioni) e infine la risposta comportamentale (o coping). Secondo il modello di Frijda, la componente principale è la propriocezione di una spinta ad agire e/o pensare, in quanto tale spinta è in grado di regolare efficacemente l’intero processo, il quale si conclude:

    • con la messa in atto della risposta più adattiva per il soggetto;
    • l’attribuzione di un nome all’emozione provata;
    • l’attivazione di tutti i processi cognitivi secondari.

    Ad esempio, la propriocezione di una tensione muscolare intenzionale verso l’oggetto regola:

    • il comportamento di attacco;
    • l’attribuzione del termine “rabbia” alla propriocezione;
    • l’attivazione di tutti i processi cognitivi secondari (valutazione di ciò che si sta ottenendo per il tramite dell’attacco e valutazione di un cambio di strategia che ottimizzi i costi in funzione dei benefici, che potrebbero includere la fuga (cambio del termine in “paura”).

    Il modello presenta molte affinità concettuali con quello proposto nel 1884 da William James.

    La regolazione delle emozioni

    Un elemento fondamentale delle emozioni è la loro regolazione. Per regolazione delle emozioni si intende in generale l’insieme dei processi attraverso cui sono modulate le emozioni in noi stessi e negli altri. La regolazione delle emozioni e l’autocontrollo sono funzioni cruciali per affrontare efficacemente le complesse dinamiche degli stimoli ambientali, delle relazioni con gli altri e degli stessi processi psichici, costituendo il principale ingrediente del benessere fisico e psicologico.

    James Gross

    Un modello teorico autorevole di regolazione delle emozioni è quello di processo, formulato da Gross.

    Rielaborazione del modello del processo di regolazione emotiva di J. Gross (1998, 2002)

    Secondo questo modello la regolazione delle emozioni si riferirebbe ai processi attraverso i quali gli individui influenzano le emozioni vivono, quando le vivono, e come sperimentano ed esprimono queste emozioni. Il modello di processo non giudica le strategie di regolazione delle emozioni come “buone” o “cattive”, poiché esse possono essere considerate adattive o disadattive, a seconda del contesto e del risultato cui portano.

    Più nel dettaglio, James J. Gross ha definito la regolazione delle emozioni come una capacità umana espressa attraverso un processo che, partendo dalla presa d’atto cosciente di stare provando una precisa emozione, consente al soggetto di farne una completa esperienza soggettiva oltre alla attivazione e gestione delle azioni di controllo e monitoraggio del proprio comportamento (agito e/o pensato) e il conseguente riaggiornamento dell’esperienza soggettiva (feedback circolare dinamico).

    Le variabili di Gross

    Gross ha individuato tre variabili che sono funzione del successo ottenuto nel processo di regolazione delle emozioni:

    • avere una utilità specifica e motivante (equivale alla risposta alla domanda: quanto utile risulterà adottare una strategia di regolazione delle emozioni?
    • la capacità di adozione efficace di una o più strategie tra quelle individuate da Gross e raccolte in cinque gruppi: selezione della situazione, modifica della situazione, distribuzione delle risorse attentive, ristrutturazione cognitiva e modulazione della risposta (equivale alla risposta alle domande: quanto sarò capace di adottare una strategia di regolazione? Saprò scegliere la più adatta? Quanto dipenderà dalla efficacia/efficienza della mia risposta e quanto dipenderà da fattori che non sono in alcun modo controllabili e quindi regolabili?
    • l’importanza accordata al risultato ottenuto o ottenibile (equivale alla domanda: il risultato che otterrò, migliorerà il mio benessere/attenuerà o eliminerà il mio malessere?
    Riconsiderazione cognitiva e soppressione

    In particolare, l’attenzione di Gross si è concentrata su due particolari tecniche: la riconsiderazione cognitiva (cognitive reappraisal), una delle strategie facente parte del gruppo “ristrutturazione cognitiva” e la soppressione (suppression) una delle strategie facente parte del gruppo “modulazione della risposta”. Diversi esperimenti condotti sia da Gross che da altri ricercatori hanno evidenziato che la riconsiderazione cognitiva risulterebbe più efficace della soppressione e che in molti casi la soppressione non produce risultati positivi.

    La ricerca però sembra suggerire che esistono strategie di regolazione emotiva tipicamente adattive e altre tendenzialmente disadattive. Tra le prime troviamo soprattutto la strategia della rivalutazione. La ricerca scientifica ha dimostrato che è possibile promuovere e potenziare lo sviluppo di queste funzioni, con correlate modificazioni al cervello e al sistema nervoso centrale, attraverso pratiche ed esercizi mirati sia nell’età evolutiva che nell’adulto.Tra queste pratiche, Gross ha posto una particolare enfasi sulla pratica mindfulness.

    Parkinson e Totterdell

    Secondo il modello proposto da Parkinson e Totterdell, le strategie di regolazione emotiva sono classificabili in funzione del tipo di strategia (cognitiva o comportamentale) e del riflesso che le sottende (fuga oppure attacco), in quest’ultima dimensione distinguendo a sua volta tra modalità diverse. La seguente tabella esemplifica il modello:

     

    Strategia cognitiva

    Strategia comportamentale

    Fuga per distacco

    Auto-ottundimento cognitivo: ridurre l’attività di pensiero tout court (una delle strategie di redistribuzione delle risorse attentive di Gross – 3° strategia)

    Evitamento fisico del fattore emotigeno (una delle strategie di selezione della situazione di Gross – 1° strategia)

    Fuga per distrazione

    Auto-ottundimento cognitivo specifico: ridurre l’attività di pensiero solo in riferimento al fattore emotigeno (una delle strategie di redistribuzione delle risorse attentive di Gross – 3° strategia)

    In presenza del fattore emotigeno, distrarsi. Fare finta che il fattore non c’è ovvero che è innocuo (una delle strategie di redistribuzione delle risorse attentive di Gross – 3° strategia) oppure non manifestare l’emozione o soppressione (una delle strategie di modulazione della risposta di Gross – 5° strategia)

    Attacco al fattore emotigeno

    Riconsiderazione cognitiva/cognitive reappaisal (una delle strategie della ristrutturazione cognitiva di Gross – 4° strategia)

    Manifestare l’emozione (una delle strategie di modulazione della risposta di Gross – 5° strategia)

    Attacco alla situazione che

    contiene il fattore emotigeno

    Avviare e sostenere il processo di problem solving (una delle strategie di modifica della situazione di Gross – 2° strategia)

    Agire concretamente sul problema (una delle strategie di modifica della situazione di Gross – 2° strategia)

    Richard Lazarus

    La teoria delle emozioni di R. Lazarus postula che un’emozione è la risultante dinamica di quattro processi distinti ma interdipendenti: valutazione, fronteggiamento, flusso di azioni e reazioni e attribuzione di significato alla relazione tra soggetto e oggetto (detto anche significato relazionale). parte dalla premessa che la funzione fondamentale delle emozioni è quella di segnalare se un dato comportamento è adatto all’ambiente, anche in funzione del mantenimento di uno stato di benessere e al pieno soddisfacimento dei nostri bisogni.

    Le emozioni facilitano o compromettono le relazioni interpersonali, soprattutto quelle intime. La rabbia può prevalere sulla tolleranza e portare a ritorsioni. Il senso di colpa e l’ansia possono minare la determinazione a realizzare qualcosa o ad affermare se stessi.

    Il coping

    Non c’è abilità di coping più utile come quella di sapere affrontare le relazioni interpersonali, specialmente quando queste relazioni sono travagliate. Anche se pensiamo di aver compreso il tipo di emozione che stiamo provando e cosa l’ha generata, spesso sbagliamo ad attribuire la sua causa e/o altrettanto spesso sbagliamo a stabilire il tipo di emozione che stiamo provando, e tutte le altre combinazioni che è possibile ricavare.

    Una caratteristica fondamentale delle emozioni è che spesso sono difficili da controllare, specialmente quando sono intense. La regolazione delle emozioni è una delle funzioni del coping.

    La valutazione

    La valutazione (appraising) è un processo cognitivo che consiste nella valutazione della natura e del significato di un fenomeno, che è poi la relazione che si instaura tra il soggetto e l’oggetto. Avviene in due momenti distinti, che Lazarus chiama primaria e secondaria. La primaria corrisponde ad una prima valutazione, in genere automatica, della rilevanza o salienza di ciò che sta accadendo attorno al soggetto. Il soggetto non ha ancora piena contezza di ciò che sta accadendo ma ha già valutato la situazione come potenzialmente minacciosa oppure che ha già prodotto un danno oppure se rappresenta una opportunità da cogliere. La secondaria corrisponde alla valutazione che il soggetto fa circa la propria capacità di fronteggiare non la situazione attuale (coping) bensì la propria capacità di fronteggiare la situazione potenziale futura (potential coping) che si determinerebbe in funzione del primo fronteggiamento.

    Ancora sul coping

    Il fronteggiamento (coping) è un processo cognitivo e comportamentale di tipo strategico e pertanto finalizzato ad un obiettivo intenzionalmente diretto verso il soggetto oppure l’oggetto al fine di modificare la relazione e la rivalutazione della stessa.

    Il flusso di azioni e reazioni (flow of actions and reactions) è essenzialmente un processo comportamentale, fisico e verbale, osservabile oppure inferibile, che recluta abilità come l’empatia e la mentalizzazione.

    I temi relazionali fondamentali sono i significati che il soggetto attribuisce all’algoritmo relazionale che di volta in volta si determina nel flusso di azioni e reazioni. I temi relazionali fondamentali sono l’outcome del processo di attribuzione di significato alla relazione tra soggetto e oggetto (detto anche significato relazionale o relational meaning). Le tre componenti individuate da Lazarus e che costituiscono i temi relazionali fondamentali sono:

    • il coping potential (diverso dal coping);
    • il coinvolgimento dell’Io;
    • l’importanza dell’obiettivo da raggiungere. 

    Lazarus postula che i temi relazionali fondamentali rappresentino le determinanti prossimali delle emozioni. Abbiamo tanti temi relazionali fondamentali quante sono le emozioni fondamentali, che Lazarus indica nel numero di quindici. 

    Le emozioni fondamentali

    Le 15 emozioni fondamentali secondo Lazarus sono: rabbia, ansia, paura, colpa, vergogna, tristezza, invidia, gelosia, disgusto, felicità, orgoglio, sollievo, speranza, amore e compassione.
    Ad esempio: la rabbia ha come tema relazionale fondamentale un’offesa umiliante diretta al soggetto o a qualcuno/qualcosa che è caro al soggetto. Il riflesso/impulso/comportamento associato è l’aggressione (attacco).

    La sregolatezza emotiva

    La sregolatezza emotiva è stata definita come l’incapacità di incrementare, mantenere o diminuire le emozioni negative o positive, con il risultato di rendere difficoltoso oppure impossibile il raggiungimento di un obiettivo desiderato ovvero l’adattamento psicofisico e specie-specifico alle situazioni socio-ambientali che si determinano attorno al soggetto. Si tratta di risposte inappropriate data la valenza dello stimolo e/o il contesto. Alcuni esempi sono l’eccesso d’ira, i timori infondati, il non riuscire a riconoscere e a cogliere le buone opportunità, il manifestare gioia in contesti inappropriati.

    La sregolatezza emotiva è inoltre associata a disturbi di personalità come il disturbo borderline oppure a disturbi dell’umore come il disturbo bipolare, oppure a disturbi del neurosviluppo come i disturbi dello spettro dell’autismo e i disturbi dell’attenzione e dell’iperattività (ADHD) e ancora a traumi psicologici oppure a disturbi neurologici, come nel caso di traumi fisici che interessano il cervello. La sregolatezza emotiva è uno dei principali fattori che, secondo la teoria proposta da Marsha Linehan, sono all’origine del disturbo borderline di personalità.

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    Indice

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      Etimologia

      Deriva dal latino emotionem, a sua volta derivato dalla sostantivazione di emotus, participio passato del verbo emovere, nel significato di trasportare fuori, smuovere, scuotere (da cui anche “scosso”). Emovere è a sua volta composto dal prefisso e- nel significato di “da”, moto da luogo, e da movere, nel significato di agitare, muovere.

      Caratteristiche delle emozioni

      L’emozione ha effetto sugli aspetti cognitivi: può causare diminuzioni o miglioramenti nella capacità di concentrazione, confusione, smarrimento, allerta, e così via. Il volto e il linguaggio verbale possono quindi riflettere all’esterno le emozioni più profonde: una voce tremolante, un tono alterato, un sorriso solare, la fronte corrugata indicano la presenza di uno specifico stato emotivo.

      Differenza tra emozione, sentimento, affetto e umore o stato d’animo

      Damasio ha proposto la seguente differenziazione: l’emozione (emotion) è uno stato mentale in gran parte inconscio, originatosi quale reazione neurobiologica ad un determinato stimolo, per il tramite di una serie rapida di attivazioni e/o inibizioni sinaptiche che coinvolgono diverse aree del cervello, in particolare il sistema limbico e la corteccia prefrontale. La funzione è quella di predisporre l’organismo, fisicamente e psicologicamente, ad affrontare uno stimolo emotigeno. Tale predisposizione fa emergere tutta una serie di altri fenomeni, in primis sensazioni propriocettive corporee, che costituiscono la base dell’esperienza cosciente dell’emozione, e che Damasio chiama coscienza di base (core consciousness) oppure sensazione della sensazione/metasensazione (feeling of feeling). 

      Il sentimento

      Un fenomeno intermedio è costituito dal sentimento (core feeling), non ancora cosciente e che si verifica durante l’emersione alla coscienza delle altre componenti: la valutazione cognitiva, l’esperienza soggettiva, la propriocezione di una spinta ad agire e/o pensare, la reazione fisiologica del sistema nervoso simpatico, la mimica facciale (o espressione facciale delle emozioni) e la risposta comportamentale (o coping).

      Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d’animo, anche se questi termini vengono spesso usati indifferentemente nel senso comune.

      A che servono le emozioni?

      Secondo Antonio Damasio, le emozioni potrebbero non essere un semplice corollario ai processi cognitivi, ma evolutivamente la prima e per lungo tempo unica modalità di acquisire conoscenza circa l’ambiente che circonda l’organismo, con la finalità di consentire all’organismo di riorganizzare la propria struttura e/o le proprie funzioni e/o il proprio comportamento in funzione delle informazioni in entrata, che sono sempre e comunque convertite in reazioni biofisiche e biochimiche del nostro organismo (in primis il cervello). La cognizione rappresenta una modalità di rappresentazione di queste modificazioni biochimiche e biofisiche, e che è sempre riducibile a sua volta ad attività biochimiche e biofisiche, tale per cui il comportamento risulta la determinante ultima di tutti questi processi.

      Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione autoregolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche).

      Classificazione delle emozioni

      Le differenti emozioni dipendono dal significato o salienza attribuita dal soggetto allo stimolo, primariamente in funzione del tono affettivo (aversivo, appetitivo o un mix di entrambi) e dell’intensità.

      Antonio Damasio, distingue due tipi di emozione: le emozioni primarie, che sono innate e preorganizzate e le emozioni secondarie, che sono elaborate dall’esperienza attraverso i circuiti del “come se”. Secondo Damasio, si possono avere delle reazioni emotive, delle quali però si è inconsapevoli, anche in assenza di modificazioni psicofisiologiche. Inoltre, “è possibile che siamo predisposti a rispondere con un’emozione, in modo preorganizzato, quando vengono percepite nel mondo esterno o nel nostro corpo – isolatamente o in combinazione – certe caratteristiche di stimoli, di cui sono esempi la dimensione (come per gli animali grossi); l’estensione (come per l’apertura alare dell’aquila); il tipo di movimento (come per i rettili); certi suoni (come il ringhio); certe configurazioni di stati del corpo (come il dolore che si avverte durante un attacco cardiaco)”. 

      Il ruolo dell’amigdala

      L’amigdala elabora in parallelo gli stimoli prima detti e definisce una sorta di algoritmo che si associa ad un altro algoritmo (un meccanismo chiamato matching). Quest’ultimo algoritmo è di tipo disposizionale e man mano che il primo si delinea, si delinea anch’esso (molto simile come meccanismo a quello della scrittura predittiva o facilitata degli smartphone), iniziando ad allertare, pre-attivare e attivare aree e nuclei cerebrali preposti a funzioni cognitive, somato-sensoriali e motorie e che a sua volta determinano le emozioni secondarie. Dice Damasio: “Il sentire l’emozione diventa pertanto un fenomeno emergente quale insieme diverso dalla semplice somma delle parti, cioè quelle parti che autonomamente e con tempi di reazione/attivazione diversi sono intervenuti per un “primo intervento” e successivamente, anche grazie alla comunicazione a feedback circolare, affinano l’esperienza”.

      Le teorie delle emozioni

      Secondo la maggior parte delle teorie moderne, le emozioni sono un processo multi-componenziale, cioè articolato in più componenti e con un decorso temporale che evolve.

      Cannon – Bard

      Tra le tipologie di risposta o reazione vi sono i riflessi e per quanto attiene alla risposta a stimoli aversivi di elevata intensità, il riflesso principale è quello detto “reazione di attacco o fuga” (fight-or-flight response), concettualizzato negli anni venti del ventesimo secolo da proprio da Cannon e Bard.

      James – Lange

      James – Lange sta per William James e Carl Lange, quest’ultimo un medico danese. Essi condussero i loro studi senza che l’uno fosse a conoscenza del lavoro dell’altro. Nel capitolo 25 del suo “Principi di Psicologia” del 1890, James scrive: “I cambiamenti corporei seguono immediatamente la percezione dello stimolo emotigeno, e che la nostra sensazione di questi stessi cambiamenti mentre si stanno verificando È l’emozione”. Quindi, secondo James, la percezione non cosciente di un fenomeno emotigeno o stressorio – come ad esempio la comparsa di un serpente – determina una modifica fisiologica nel soggetto coinvolto. La prima percezione cosciente del soggetto non è la vista del serpente, ma la modifica fisiologica, che secondo James è specifica per quel tipo di emozione. A seguire, il soggetto abbina un nome alla modifica fisiologica e attribuisce la causa al serpente. 

      La sequenza dei fenomeni

      La sequenza dei fenomeni è pertanto la seguente:

      1. Stimolo avversivo colto dal sistema visivo con immediata risposta fisiologica preparatoria alla risposta più appropriata, che nel nostro caso è plausibilmente la fuga (il tutto senza consapevolezza del soggetto).
      2. Propriocezione cosciente dell’attivazione della risposta fisiologica, che secondo James è specifica per quel tipo di emozione. Questo è il motivo per cui il soggetto comprende coscientemente che si tratta di paura senza il coinvolgimento di strutture della neocorteccia: la risposta fisiologica specifica per ogni tipo di emozione, in particolare per le emozioni di base, contiene già l’informazione “paura”.
      3. Associazione della causa (il serpente) per emersione alla coscienza della visione: ho paura perché ho visto un serpente.

      Nel modello di James, la risposta fisiologica preconscia è la risposta riflessa di fuga – come sarà successivamente chiamata da Cannon – e quindi avviene prima che il soggetto abbia contezza cosciente del pericolo. Come dire: il soggetto inizia a scappare senza ancora sapere coscientemente il perché. Per James, la risposta fisiologica è sufficiente a fornire le basi per l’esperienza soggettiva cosciente dell’emozione. L’attribuzione cosciente della causa completa l’esperienza.

      La teoria dell’emozione costruita di Lisa Feldman Barrett[

      Secondo la teoria della Feldman Barrett, le emozioni vengono prodotte dal nostro cervello per il tramite di una procedura facilitata (quasi una sorta di funzione T9) che si attiva tutte le volte che vi è necessità, una funzione o processo di codifica predittiva o elaborazione predittiva che nell’ambito delle neuroscienze è modellizzato postulando che il cervello genera continuamente modelli dell’ambiente in risposta a possibili stimoli che da quest’ultimo potrebbero arrivare alla percezione, in aggiunta oppure in sostituzione di effettivi stimoli.

      Per la Feldman Barrett, gli individui, piuttosto che fare esperienza di emozioni discrete e già classificate come paura, gioia o rabbia, fanno esperienza di stati affettivi grezzi sui quali poi inferiscono propri stati mentali e a cui attribuiscono etichette discrete, come appunto paura, gioia o rabbia. Tutto ciò avviene grazie alla attivazione di numerosi network neurali, che concorrono all’esperienza affettiva e determinano la personale costruzione dell’esperienza emotiva complessa. Le emozioni non sono pertanto né di base, né innate, e nemmeno apprese. Sono fenomeni emergenti che si determinano in funzione di fattori prevalentemente socio-culturali. Dice la Feldman Barrett: “Durante ogni istante della fase di veglia, il tuo cervello utilizza l’esperienza passata (organizzata in concetti) la quale guida le tue azioni e dà significato alle tue sensazioni. Quando i concetti utilizzati sono concetti associati a stati affettivi, il tuo cervello fa l’esperienza soggettiva di ciò che chiamiamo emozione”.

      La teoria multi-componenziale di Nico Henri Frijda

      La teoria e il modello teorico esplicativo proposto da Frijda, descrive l’emozione come un fenomeno complesso, multicomponente, che predispone l’organismo ad una o più reazioni. Le componenti sono sei: la valutazione cognitiva, l’esperienza soggettiva, la propriocezione di una spinta ad agire e/o pensare, la reazione fisiologica del sistema nervoso simpatico, la mimica facciale (o espressione facciale delle emozioni) e infine la risposta comportamentale (o coping). Secondo il modello di Frijda, la componente principale è la propriocezione di una spinta ad agire e/o pensare, in quanto tale spinta è in grado di regolare efficacemente l’intero processo, il quale si conclude:

      • con la messa in atto della risposta più adattiva per il soggetto;
      • l’attribuzione di un nome all’emozione provata;
      • l’attivazione di tutti i processi cognitivi secondari.

      Ad esempio, la propriocezione di una tensione muscolare intenzionale verso l’oggetto regola:

      • il comportamento di attacco;
      • l’attribuzione del termine “rabbia” alla propriocezione;
      • l’attivazione di tutti i processi cognitivi secondari (valutazione di ciò che si sta ottenendo per il tramite dell’attacco e valutazione di un cambio di strategia che ottimizzi i costi in funzione dei benefici, che potrebbero includere la fuga (cambio del termine in “paura”).

      Il modello presenta molte affinità concettuali con quello proposto nel 1884 da William James.

      La regolazione delle emozioni

      Un elemento fondamentale delle emozioni è la loro regolazione. Per regolazione delle emozioni si intende in generale l’insieme dei processi attraverso cui sono modulate le emozioni in noi stessi e negli altri. La regolazione delle emozioni e l’autocontrollo sono funzioni cruciali per affrontare efficacemente le complesse dinamiche degli stimoli ambientali, delle relazioni con gli altri e degli stessi processi psichici, costituendo il principale ingrediente del benessere fisico e psicologico.

      James Gross

      Un modello teorico autorevole di regolazione delle emozioni è quello di processo, formulato da Gross.

      Rielaborazione del modello del processo di regolazione emotiva di J. Gross (1998, 2002)

      Secondo questo modello la regolazione delle emozioni si riferirebbe ai processi attraverso i quali gli individui influenzano le emozioni vivono, quando le vivono, e come sperimentano ed esprimono queste emozioni. Il modello di processo non giudica le strategie di regolazione delle emozioni come “buone” o “cattive”, poiché esse possono essere considerate adattive o disadattive, a seconda del contesto e del risultato cui portano.

      Più nel dettaglio, James J. Gross ha definito la regolazione delle emozioni come una capacità umana espressa attraverso un processo che, partendo dalla presa d’atto cosciente di stare provando una precisa emozione, consente al soggetto di farne una completa esperienza soggettiva oltre alla attivazione e gestione delle azioni di controllo e monitoraggio del proprio comportamento (agito e/o pensato) e il conseguente riaggiornamento dell’esperienza soggettiva (feedback circolare dinamico).

      Le variabili di Gross

      Gross ha individuato tre variabili che sono funzione del successo ottenuto nel processo di regolazione delle emozioni:

      • avere una utilità specifica e motivante (equivale alla risposta alla domanda: quanto utile risulterà adottare una strategia di regolazione delle emozioni?
      • la capacità di adozione efficace di una o più strategie tra quelle individuate da Gross e raccolte in cinque gruppi: selezione della situazione, modifica della situazione, distribuzione delle risorse attentive, ristrutturazione cognitiva e modulazione della risposta (equivale alla risposta alle domande: quanto sarò capace di adottare una strategia di regolazione? Saprò scegliere la più adatta? Quanto dipenderà dalla efficacia/efficienza della mia risposta e quanto dipenderà da fattori che non sono in alcun modo controllabili e quindi regolabili?
      • l’importanza accordata al risultato ottenuto o ottenibile (equivale alla domanda: il risultato che otterrò, migliorerà il mio benessere/attenuerà o eliminerà il mio malessere?
      Riconsiderazione cognitiva e soppressione

      In particolare, l’attenzione di Gross si è concentrata su due particolari tecniche: la riconsiderazione cognitiva (cognitive reappraisal), una delle strategie facente parte del gruppo “ristrutturazione cognitiva” e la soppressione (suppression) una delle strategie facente parte del gruppo “modulazione della risposta”. Diversi esperimenti condotti sia da Gross che da altri ricercatori hanno evidenziato che la riconsiderazione cognitiva risulterebbe più efficace della soppressione e che in molti casi la soppressione non produce risultati positivi.

      La ricerca però sembra suggerire che esistono strategie di regolazione emotiva tipicamente adattive e altre tendenzialmente disadattive. Tra le prime troviamo soprattutto la strategia della rivalutazione. La ricerca scientifica ha dimostrato che è possibile promuovere e potenziare lo sviluppo di queste funzioni, con correlate modificazioni al cervello e al sistema nervoso centrale, attraverso pratiche ed esercizi mirati sia nell’età evolutiva che nell’adulto.Tra queste pratiche, Gross ha posto una particolare enfasi sulla pratica mindfulness.

      Parkinson e Totterdell

      Secondo il modello proposto da Parkinson e Totterdell, le strategie di regolazione emotiva sono classificabili in funzione del tipo di strategia (cognitiva o comportamentale) e del riflesso che le sottende (fuga oppure attacco), in quest’ultima dimensione distinguendo a sua volta tra modalità diverse. La seguente tabella esemplifica il modello:

       

      Strategia cognitiva

      Strategia comportamentale

      Fuga per distacco

      Auto-ottundimento cognitivo: ridurre l’attività di pensiero tout court (una delle strategie di redistribuzione delle risorse attentive di Gross – 3° strategia)

      Evitamento fisico del fattore emotigeno (una delle strategie di selezione della situazione di Gross – 1° strategia)

      Fuga per distrazione

      Auto-ottundimento cognitivo specifico: ridurre l’attività di pensiero solo in riferimento al fattore emotigeno (una delle strategie di redistribuzione delle risorse attentive di Gross – 3° strategia)

      In presenza del fattore emotigeno, distrarsi. Fare finta che il fattore non c’è ovvero che è innocuo (una delle strategie di redistribuzione delle risorse attentive di Gross – 3° strategia) oppure non manifestare l’emozione o soppressione (una delle strategie di modulazione della risposta di Gross – 5° strategia)

      Attacco al fattore emotigeno

      Riconsiderazione cognitiva/cognitive reappaisal (una delle strategie della ristrutturazione cognitiva di Gross – 4° strategia)

      Manifestare l’emozione (una delle strategie di modulazione della risposta di Gross – 5° strategia)

      Attacco alla situazione che

      contiene il fattore emotigeno

      Avviare e sostenere il processo di problem solving (una delle strategie di modifica della situazione di Gross – 2° strategia)

      Agire concretamente sul problema (una delle strategie di modifica della situazione di Gross – 2° strategia)

      Richard Lazarus

      La teoria delle emozioni di R. Lazarus postula che un’emozione è la risultante dinamica di quattro processi distinti ma interdipendenti: valutazione, fronteggiamento, flusso di azioni e reazioni e attribuzione di significato alla relazione tra soggetto e oggetto (detto anche significato relazionale). parte dalla premessa che la funzione fondamentale delle emozioni è quella di segnalare se un dato comportamento è adatto all’ambiente, anche in funzione del mantenimento di uno stato di benessere e al pieno soddisfacimento dei nostri bisogni.

      Le emozioni facilitano o compromettono le relazioni interpersonali, soprattutto quelle intime. La rabbia può prevalere sulla tolleranza e portare a ritorsioni. Il senso di colpa e l’ansia possono minare la determinazione a realizzare qualcosa o ad affermare se stessi.

      Il coping

      Non c’è abilità di coping più utile come quella di sapere affrontare le relazioni interpersonali, specialmente quando queste relazioni sono travagliate. Anche se pensiamo di aver compreso il tipo di emozione che stiamo provando e cosa l’ha generata, spesso sbagliamo ad attribuire la sua causa e/o altrettanto spesso sbagliamo a stabilire il tipo di emozione che stiamo provando, e tutte le altre combinazioni che è possibile ricavare.

      Una caratteristica fondamentale delle emozioni è che spesso sono difficili da controllare, specialmente quando sono intense. La regolazione delle emozioni è una delle funzioni del coping.

      La valutazione

      La valutazione (appraising) è un processo cognitivo che consiste nella valutazione della natura e del significato di un fenomeno, che è poi la relazione che si instaura tra il soggetto e l’oggetto. Avviene in due momenti distinti, che Lazarus chiama primaria e secondaria. La primaria corrisponde ad una prima valutazione, in genere automatica, della rilevanza o salienza di ciò che sta accadendo attorno al soggetto. Il soggetto non ha ancora piena contezza di ciò che sta accadendo ma ha già valutato la situazione come potenzialmente minacciosa oppure che ha già prodotto un danno oppure se rappresenta una opportunità da cogliere. La secondaria corrisponde alla valutazione che il soggetto fa circa la propria capacità di fronteggiare non la situazione attuale (coping) bensì la propria capacità di fronteggiare la situazione potenziale futura (potential coping) che si determinerebbe in funzione del primo fronteggiamento.

      Ancora sul coping

      Il fronteggiamento (coping) è un processo cognitivo e comportamentale di tipo strategico e pertanto finalizzato ad un obiettivo intenzionalmente diretto verso il soggetto oppure l’oggetto al fine di modificare la relazione e la rivalutazione della stessa.

      Il flusso di azioni e reazioni (flow of actions and reactions) è essenzialmente un processo comportamentale, fisico e verbale, osservabile oppure inferibile, che recluta abilità come l’empatia e la mentalizzazione.

      I temi relazionali fondamentali sono i significati che il soggetto attribuisce all’algoritmo relazionale che di volta in volta si determina nel flusso di azioni e reazioni. I temi relazionali fondamentali sono l’outcome del processo di attribuzione di significato alla relazione tra soggetto e oggetto (detto anche significato relazionale o relational meaning). Le tre componenti individuate da Lazarus e che costituiscono i temi relazionali fondamentali sono:

      • il coping potential (diverso dal coping);
      • il coinvolgimento dell’Io;
      • l’importanza dell’obiettivo da raggiungere. 

      Lazarus postula che i temi relazionali fondamentali rappresentino le determinanti prossimali delle emozioni. Abbiamo tanti temi relazionali fondamentali quante sono le emozioni fondamentali, che Lazarus indica nel numero di quindici. 

      Le emozioni fondamentali

      Le 15 emozioni fondamentali secondo Lazarus sono: rabbia, ansia, paura, colpa, vergogna, tristezza, invidia, gelosia, disgusto, felicità, orgoglio, sollievo, speranza, amore e compassione.
      Ad esempio: la rabbia ha come tema relazionale fondamentale un’offesa umiliante diretta al soggetto o a qualcuno/qualcosa che è caro al soggetto. Il riflesso/impulso/comportamento associato è l’aggressione (attacco).

      La sregolatezza emotiva

      La sregolatezza emotiva è stata definita come l’incapacità di incrementare, mantenere o diminuire le emozioni negative o positive, con il risultato di rendere difficoltoso oppure impossibile il raggiungimento di un obiettivo desiderato ovvero l’adattamento psicofisico e specie-specifico alle situazioni socio-ambientali che si determinano attorno al soggetto. Si tratta di risposte inappropriate data la valenza dello stimolo e/o il contesto. Alcuni esempi sono l’eccesso d’ira, i timori infondati, il non riuscire a riconoscere e a cogliere le buone opportunità, il manifestare gioia in contesti inappropriati.

      La sregolatezza emotiva è inoltre associata a disturbi di personalità come il disturbo borderline oppure a disturbi dell’umore come il disturbo bipolare, oppure a disturbi del neurosviluppo come i disturbi dello spettro dell’autismo e i disturbi dell’attenzione e dell’iperattività (ADHD) e ancora a traumi psicologici oppure a disturbi neurologici, come nel caso di traumi fisici che interessano il cervello. La sregolatezza emotiva è uno dei principali fattori che, secondo la teoria proposta da Marsha Linehan, sono all’origine del disturbo borderline di personalità.

    • Il disturbo borderline di personalità

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      Psicologia individuale

      Il disturbo borderline di personalità

      Analisi di un fenomeno psicopatologico

      di Emanuele Fazio

      Il disturbo borderline di personalità è una psicopatologia che coinvolge generalmente almeno due dei quattro domini del funzionamento psicosociale di un individuo: cognitivo, emotivo/affettivo, relazionale e comportamentale (in particolare il comportamento riflesso o impulsivo).
      Ciascuno dei quattro domini è ulteriormente scindibile in sottodomini. Per quanto attiene il dominio cognitivo, ad essere compromesso è il sistema di credenze riguardo al sé e la capacità di regolare le emozioni.

      Emanuele Fazio
      Psicologo a Roma Nord


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      psicologo a roma nord

      I criteri diagnostici del DBT

      Al pari degli altri disturbi di personalità, il disturbo borderline implica che almeno due dei quattro domini siano disfunzionali, cioè poco o per nulla conformi a ciò che ci si aspetterebbe da un individuo sufficientemente ben integrato e adattato al contesto socioculturale.
      La disfunzione deve essere costante e inoltre difficile, se non impossibile, da ricondurre entro norma da parte dell’individuo, da solo o con l’aiuto di altri non professionisti.
      Nella sua forma cristallizzata dai manuali diagnostici, il disturbo borderline della personalità esordisce durante l’adolescenza o la prima età adulta, sebbene spesso è possibile prevederlo[1] in presenza di fattori di rischio transdiagnostici o di altri sintomi e/o patologie che fungono da possibili precursori, mediatori o moderatori.

      Per trarre diagnosi di disturbo borderline di personalità è necessario che siano soddisfatti almeno cinque su nove cortei sintomatologici tra domini e sottodomini come di seguito elencati.

      Dominio cognitivo e cognitivo/comportamentale
      Scarsa conoscenza di sé stessi

      Il soggetto borderline non riesce a dare a sé stesso e agli altri una descrizione esaustiva e coerente della personalità e del carattere. Allo stesso modo in cui può giudicare una persona appena conosciuta la migliore persona del mondo e dopo brevissimo tempo la peggiore mai conosciuta, la sua capacità di autostima vira repentinamente da un’elevata considerazione di sé (a prescindere dal vero valore) fino a ritenersi assolutamente privo di valore.

      Ideazione paranoide e/o sintomi dissociativi

      Con il termine ideazione paranoide si intende uno o più pensieri ricorrenti e invasivi caratterizzati da sospettosità nei confronti degli altri, immaginati come persecutori o comunque intenzionati a fare del male (non necessariamente di tipo fisico) al soggetto borderline.
      Con il termine sintomi dissociativi, in particolare quelli più comuni tra i soggetti borderline, si intende principalmente la depersonalizzazione e la derealizzazione.
      La depersonalizzazione è la sensazione di sentire la propria mente come separata dal proprio corpo, in grado quindi di osservarlo come se fosse il corpo di un altro oppure sentire la propria mente come se fosse quella di un altro.
      La derealizzazione è invece sentire come estranea e irreale la realtà del mondo esterno, quasi come se si trattasse di un sogno.
      In genere tale corteo sintomatico è di breve durante ed emerge a seguito di un forte stress o trauma.

      Senso di vuoto

      Il soggetto borderline non riesce a stare impegnato in qualcosa ed è costantemente alla ricerca di qualcos’altro da fare, e che possa alleviare il sentimento di noia o di smania che lo pervade.
      Il senso di vuoto in genere predice il ricorso a comportamenti impulsivi (vedi anche sintomi comportamentali) quali l’abuso di sostanze, l’abuso di comportamenti (stare per troppo tempo sui social o su internet) ma anche, qualora il soggetto esca di casa, fare shopping compulsivo, ricercare rapporti sessuali, guida spericolata e ricorso compulsivo a cibo e/o alcol.

      Dominio emotivo/affettivo
      Sentimento ricorrente di essere abbandonati o trascurati da persone che sono ritenute importanti, anche se conosciute da pochissimo tempo e in modo ancora superficiale

      Tale sentimento, agli occhi di un osservatore esterno, può essere sia motivato che del tutto immotivato. A seguito di questo sentimento si determinano reazioni emotive incontrollate e comportamenti impulsivi altrettanto fuori controllo, finalizzati all’evitamento dell’abbandono ma che spesso finiscono proprio per agevolarlo oppure a renderlo più probabile.
      I principali comportamenti impulsivi riguardano soprattutto tentativi di suicidio (o minaccia realistica di metterli in atto) e autolesionismo non suicidario.
      Data l’imprevedibilità dei soggetti borderline, ed anche in funzione di altri sintomi e/o di altri disturbi mentali e di personalità in comorbidità, il soggetto può aggredire e anche uccidere la persona che egli crede stia per abbandonarlo.
      Il livello di aggressività dipende quasi sempre dall’ entità dell’investimento affettivo che il soggetto borderline aveva fatto sulla persona.
      Pertanto, a maggior rischio anche di morte, sono tutte quelle persone che il soggetto, anche se idealmente, aveva elevato come molto significative (alto investimento affettivo).
      Con persone nei confronti delle quali il soggetto borderline aveva investito meno (seppur in modo sproporzionato date le circostanze), il soggetto borderline mette in atto litigi, anche violenti, oppure evitamento rabbioso e risentito, con o senza manifestazioni dirette e/o immediate.

      Sregolatezza emotiva

      Intesa come sbalzi dell’umore repentini e imprevedibili, la sregolatezza emotiva è una risposta a stimoli comunemente non ritenuti emotigeni (principalmente durante l’interazione diretta o indiretta con altre persone) ma ritenuti tali dal soggetto borderline.
      Può trattarsi di euforia e gioia incontenibile, ma più frequentemente si tratta di tristezza, di ansia oppure di paura.
      La rabbia costituisce un sintomo a sé.

      Sregolatezza emotiva riferita alla sola rabbia

      Improvvisa aggressività nei confronti di qualcuno presente oppure assente determinata da uno stimolo. Lo stimolo può essere anche pensato e quindi non presente nella realtà oppure presente ma comunemente non ritenuto emotigeno.

      Dominio relazionale
      Relazioni interpersonali caratterizzate da distanziamento sociale inappropriato

      I soggetti borderline non hanno semplici conoscenti ma solo grandi amici e appassionati amanti (anche se appena conosciuti) con cui sono pronti a condividere emozioni, esperienze e segreti e da cui pretendono pari confidenza.
      Stante tuttavia la mancata reale conoscenza dell’altro, equivocano sistematicamente ogni parola, gesto o comportamento, senza trascurare quello non verbale e prossemico.
      Poiché l’empatia è un sentimento con una elevata matrice cognitiva, la sregolatezza emotiva che ottunde i circuiti cerebrali preposti alla valutazione cognitiva impedisce al soggetto borderline di mettersi nei panni dell’altro, attribuendogli pertanto stati mentali erronei, e generalmente negativi.

      Dominio comportamentale
      Ideazione suicidaria e/o autolesionismo non suicidario

      È interessante rilevare che la richiesta di aiuto da parte dei soggetti borderline scatta in genere all’indomani di un tentativo di suicidio. Anche quando la richiesta di aiuto viene formalizzata da parenti oppure da autorità intervenute dopo il gesto, il soggetto borderline generalmente condivide l’interessamento di terzi.

      Comportamenti impulsivi

      Come in parte anticipato parlando del senso di vuoto, i comportamenti impulsivi tipici del soggetto borderline sono shopping compulsivo (in particolare sostenendo spese non parametrate al proprio reddito oppure al buon senso), ricerca di partner sessuali occasionali, abuso di sostanze e/o comportamenti, guida spericolata (con radio a tutto volume e spesso dopo uso di sostanze), abuso di cibo e/o alcol. I comportamenti impulsivi devono essere almeno due.

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    • Terapia dialettico comportamentale: uno sguardo d’insieme

      la teoria dialettico comportamentale

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      Terapia dialettico comportamentale

      Uno sguardo d’insieme

      di Emanuele Fazio

      La terapia dialettico comportamentale

      La terapia dialettico comportamentale (DBT) mette al centro del suo modello terapeutico l’assunto filosofico della dialettica, unitamente alle tecniche psicologiche proprie del comportamentismo.
      L’assunto filosofico della dialettica, che attinge a piene mani al pensiero del filosofo greco Eraclito. postula che:

      • la realtà è formata da opposti;
      • gli opposti sono entrambi veri;
      • non c’è niente di permanente tranne il cambiamento.

      La via di uscita dal disagio psicologico inizia quando si accetta che i tre assunti prima detti sono veri.

      Emanuele Fazio
      Psicologo a Roma Nord


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      psicologo a roma nord

      Uno sguardo ai principali pilastri della DBT

      La terapia dialettico comportamentale si regge su tre grandi pilastri filosofici e scientifici, sui quali si costruisce la relazione d’aiuto:

      Tutte le cose sono interconnesse. 

      Tutto e tutti sono interconnessi e interdipendenti. Siamo tutti parte di una grande comunità dove ognuno ha bisogno dell’altro per raggiungere uno stato di benessere e di felicità;

      Il cambiamento è costante e inevitabile. 

      Non si tratta di un’idea nuova. Eraclito diceva che l’unica certezza nella vita è il cambiamento. La vita è piena di sofferenza, ma poiché il cambiamento esiste, essendo il cambiamento l’unica cosa di cui puoi essere certo, anche la tua sofferenza cambierà;

      Gli opposti si integrano per formare un’approssimazione più fedele alla realtà. 

      Questo è il principio cardine della dialettica. Una sintesi dialettica unisce la tesi (un’idea) e l’antitesi (il suo opposto). Nell’elaborare la sintesi delle due idee, il processo non introduce mai un nuovo concetto che non si trovi né nella tesi né nell’antitesi. A rigor di logica, la sintesi incorpora un concetto della tesi e uno dell’antitesi.

      Come funziona la DBT?

      La terapia dialettico comportamentale fu originariamente sviluppata da Marsha Linehan per il trattamento di persone che lottavano con comportamenti autodistruttivi e suicidari, e che successivamente diventò il trattamento primario per la condizione nota come disturbo borderline di personalità (BPD). Il trattamento è accettato da molti terapeuti e clienti, non solo perché è molto utile, ma perché integra elementi biologici, ambientali, spirituali e comportamentali. È anche unico, poiché bilancia la necessità del cambiamento di una persona con la necessità di accettare contemporaneamente ciò che si è nel momento presente.
      Sebbene la terapia dialettico comportamentale sia stata originariamente progettata per trattare l’ideazione suicidaria e l’autolesionismo, si è successivamente rivelata utile per altre tipologie di disturbi.
      Infatti, la terapia dialettico comportamentale è molto utile per chiunque abbia problemi di regolazione delle emozioni, anche se la causa non è correlata a una malattia psichiatrica.
      Grazie al suo successo nell’aiutare le persone a imparare a gestire le proprie emozioni in modo più efficace, la teoria dialettico comportamentale è diventata un trattamento molto richiesto anche da persone senza alcuna diagnosi di disturbo mentale, ma semplicemente interessate a migliorare la gestione dello stress e la qualità delle loro relazioni interpersonali.

      Una terapia modulare

      La terapia dialettico comportamentale prevede la somministrazione del trattamento attraverso quattro moduli.

      Terapia individuale: in questo modulo, il terapeuta lavora con il cliente per applicare le abilità o skill apprese durante il lavoro di gruppo.

      Skill training di gruppo: in questa modalità, insieme a un gruppo di altre persone, vengono insegnate nuove abilità comportamentali, completati i compiti per casa e svolti giochi di ruolo per apprendere nuovi modi di interagire con gli altri.

      Assistenza telefonica: in questa modalità, si può chiamare il terapeuta tra una sessione e l’altra per ricevere indicazioni su come affrontare situazioni difficili che dovessero nel frattempo presentarsi.

      Consultazione tra terapeuti: in questa modalità, il singolo terapeuta incontra altri terapeuti DBT. Questi incontri aiutano i terapeuti a risolvere questioni difficili e complesse che emergono durante la terapia, agevolando lo scambio di idee e consigli su cosa fare quando la terapia segna il passo.

      Le cinque funzioni del trattamento

      La terapia dialettico comportamentale è un programma di trattamento modulare. In questo modo, la DBT è un insieme di trattamenti, piuttosto che un singolo metodo di trattamento condotto da un singolo terapeuta su un singolo cliente. Qualsiasi programma, qualunque cosa si scelga di fare, dovrebbe affrontare cinque funzioni chiave del trattamento:

      Aumentare la motivazione al cambiamento

      Cambiare i comportamenti autodistruttivi e disadattivi può essere molto difficile ed è facile scoraggiarsi. Il terapeuta individuale lavora con il cliente per assicurarsi che rimanga in carreggiata e riduca tutti i comportamenti che sono incoerenti con una vita degna di essere vissuta. All’interno della terapia individuale e di gruppo, il terapeuta chiede di monitorare i comportamenti e utilizzare eventualmente anche l’assistenza telefonica per raggiungere l’obiettivo.

      Migliorare le proprie capacità

      La terapia dialettico comportamentale presuppone che le persone che lottano manchino o abbiano bisogno di migliorare diverse importanti life skill, comprese le abilità che aiutano a regolare le emozioni, a prestare attenzione all’esperienza del momento presente, a muoversi efficacemente nelle relazioni interpersonali e, infine, ad essere in grado di tollerare lo stress.

      Applicare ciò che si è imparato in terapia alla vita quotidiana

      Se le abilità che si apprendono nelle sessioni di terapia di gruppo e individuali non sono praticate efficacemente nella vita quotidiana, allora sarà difficile dire che la terapia ha avuto successo nell’affrontare i problemi del cliente.

      Strutturare il contesto socio-familiare in modo da potenziare la crescita personale

      Una funzione importante è quella di assicurarsi di non ricadere in comportamenti disadattivi o problematici o, se lo si fa, di assicurarsi che l’impatto non sia duraturo. Strutturare il trattamento in modo da promuovere i progressi verso il tuo obiettivo è un modo per farlo. In genere, come terapeuta individuale mi assicurerò che tutti gli elementi di un trattamento efficace siano adatti alla tua esperienza di vita. A volte, se non sei ancora abbastanza abile per farlo da solo, potrò intervenire ma con la consapevolezza reciproca che tale intervento è temporaneo fino a quando non avrai acquisito le competenze necessarie.

      Aumentare la motivazione e la competenza del terapeuta

      Anche se aiutare le persone che arrivano in terapia con diverse richieste può essere molto gratificante, i comportamenti che le persone mettono in atto durante le sessioni possono affaticare il terapeuta, che avrà quindi bisogno di aiuto: è qui che entra in gioco il team di consultazione di cui si parlava prima.

      Il quadro teorico della DBT

      La teoria biosociale

      La teoria biosociale della dottoressa Linehan afferma essenzialmente che le persone che lottano per regolare le proprie emozioni lo fanno a causa dell’influenza reciproca tra la natura[1] di quella persona – che la rende più emotivamente sensibile, reattiva e più lenta a ritornare al suo standard emotivo – e quello che Linehan ha definito il contesto socio-familiare sminuente.
      Un contesto socio-familiare sminuente è quello in cui le esperienze emotive di un bambino non sono riconosciute come importanti oppure non sono tollerate dalle persone significative che gli sono vicine.
      In genere, accade che:

      • le esperienze emotive di un bambino non vengono prese in considerazione;
      • il bambino ha un’escalation emotiva esplosiva e spesso violenta (anche nei confronti di se stesso) nel tentativo di ricevere attenzione e accudimento;
      • il bambino riceve attenzione e accudimento;
      • il bambino impara che deve esibire una sregolatezza emotiva per essere ascoltato.

      Invece, quando viene punito per aver espresso le sue emozioni[2], il bambino potrebbe tentare di regolarsi usando comportamenti come l’autolesionismo. Questo, a sua volta, porta a un’emotività ancora maggiore, poiché il bambino sperimenta vergogna e senso di colpa.

      La teoria comportamentale

      La teoria comportamentale spiega il comportamento umano analizzando gli antecedenti e le conseguenze del comportamento.
      Gli antecedenti sono gli eventi, le situazioni, le circostanze, le emozioni e i pensieri che hanno preceduto il comportamento – in altre parole, gli eventi che stavano accadendo prima che il comportamento si verificasse – mentre le conseguenze del comportamento sono le azioni o le risposte che seguono il comportamento.
      È nella comprensione degli elementi che causano la manifestazione dei comportamenti – e anche nella comprensione di ciò che fa andare avanti i comportamenti – che la teoria comportamentale viene applicata, al fine di ridurre i comportamenti disadattivi e aumentare le risposte adattive.
      Un elemento importante di questa teoria è che i comportamenti disadattivi vengono mantenuti perché una persona non ha le capacità per un funzionamento più flessibile.
      Ciò avviene a causa di problemi nell’elaborazione delle emozioni e dei pensieri, motivo per cui c’è molta enfasi sull’utilità dell’insegnamento delle skill per evitare la sregolatezza emotiva.

      La filosofia dialettica

      Essenzialmente, la teoria dialettica afferma che la realtà è un insieme di forze interconnesse e correlate, molte delle quali in opposizione l’una all’altra. È la sintesi continua di forze, idee o concetti opposti che definisce la dialettica.

      Le cinque fasi di trattamento della DBT

      La teoria dialettico comportamentale si compone di cinque fasi di trattamento:

      Pretrattamento

      Questo è il periodo di tempo in cui la persona si impegna direttamente con se stessa e con il proprio terapeuta a iniziare la terapia dialettico comportamentale. In questa fase di pretrattamento, il paziente scrive un elenco di comportamenti problematici che interferiscono con il suo ideale di vita, attribuendo a ciascun comportamento un grado o valore di rilevanza.

      Fase 1

      In questa fase, l’obiettivo principale è quello di ridurre i comportamenti più gravi e che hanno un grande impatto sulla vita di una persona. Si tratta di comportamenti che interferiscono:

      • con la terapia come essere in ritardo alle sessioni o non completare i compiti a casa
      • con la qualità della vita come l’abuso di sostanze e trovarsi coinvolti in relazioni interpersonali dolorose.
      Fase 2

      In questa fase, la persona si concentra su quelle esperienze emotive che potrebbero essere collegate all’infelicità e al disagio che sta provando.

      Fase 3

      In questa fase, vengono affrontati problemi residui ma non meno importanti, come la noia, il senso di vuoto, il lutto e gli obiettivi di vita.

      Fase 4

      In questa fase finale, la persona approfondisce la consapevolezza di sé e il proprio senso di incompletezza, diventando più spiritualmente appagata e riconoscendo che la maggior parte della felicità risiede all’interno del sé.

      Le 4 skill della DBT

      La DBT presuppone che molti dei problemi si verificano perché le persone non hanno, o non possono usare in modo efficace, le skill per gestire situazioni emotivamente importanti.
      Più specificamente, l’incapacità di utilizzare un comportamento efficace quando è necessario è spesso il risultato della non conoscenza della skill ad esso associata, oppure di come utilizzarla. Coerentemente con quanto appena detto, è stato dimostrato che l’uso delle skill DBT porta a un miglioramento dell’umore e migliora la regolazione delle emozioni e l’interazione con le altre persone. Ecco le 4 skill:

      Mindfulness

      In parte derivata dallo Zen e dalle pratiche meditative orientali, la DBT insegna alle persone l’importanza di essere consapevoli. In altri articoli rispondo alle domande: “Come faccio a praticare la mindfulness?” e “Come faccio a mettere in atto queste skill di mindfulness?”

      Efficacia interpersonale

      La DBT insegna i modi più efficaci per:

      • ottenere dagli altri e da sé stessi ciò di cui si ha bisogno e che si vuole;
      • ridurre i conflitti interpersonali, migliorando o risolvendo le relazioni difficili e complicate;
      • saper dire “no” a richieste irragionevoli.

      L’obiettivo è aiutare una persona ad avere il massimo rispetto di sé, migliorare la proprie strategie di coping e riconoscere i propri bisogni e quelli degli altri come entrambi importanti.

      Tolleranza allo stress

      Mentre molti approcci al trattamento della salute mentale si concentrano sul cambiamento delle situazioni stressanti, la DBT si concentra sull’insegnamento delle skill che consentono alle persone di tollerare queste situazioni, spesso cariche di dolore emotivo o angoscia. L’insegnamento punta anche a evidenziare la distinzione tra l’accettazione della realtà così com’è e l’approvazione di questa realtà.

      Regolazione emotiva

      Al centro di molti dei problemi in cui la DBT è efficace c’è la scoperta che le persone che lottano per regolare le proprie emozioni non hanno la capacità di farlo in modo efficace. L’obiettivo di questo modulo di skill è quello di

      • far sì che le persone sappiano quale emozione stanno vivendo;
      • quali sono i fattori di rischio che rendono una persona vulnerabile e quindi vulnerabile alla sregolatezza emotiva;
      • quali sono le funzioni delle emozioni;
      • come regolare le emozioni quando queste sono asimmetriche rispetto alla situazione.

      Come funziona il trattamento DBT

      Come in parte già accennato, un trattamento DBT completo comprende:

      • la terapia di sostegno e/o di abilitazione/riabilitazione individuale;
      • la formazione di gruppo sulle skill;
      • il coaching telefonico.

      Le sessioni di gruppo si tengono in genere una volta alla settimana e durano due ore e mezza. Nel gruppo vengono insegnati i quattro moduli di abilità menzionati nella sezione precedente:

      • mindfulness;
      • efficacia interpersonale;
      • tolleranza allo stress;
      • regolazione delle emozioni.

      In genere ci vogliono sei mesi per completare tutti i moduli, ma molte persone che fanno un trattamento di skill DBT lo proseguono attraverso la partecipazione al gruppo di formazione avanzato.

      Nella sessione di gruppo, la prima ora è dedicata alla visione dei compiti assegnati la settimana precedente, mentre il restante tempo viene utilizzato per l’apprendimento, l’insegnamento e la pratica di nuove skill.
      Nella terapia individuale, le skill apprese durante le sessioni di gruppo vengono esaminate nel contesto delle esigenze e degli obiettivi di trattamento individuali della persona.
      Mentre nella terapia di gruppo la persona apprende le skill praticandole con gli altri componenti, nella terapia individuale apprende a generalizzarle, cioè a calarle nel contesto specifico e personale con il quale si confronta quotidianamente.

      Trattamento di condizioni specifiche

      La maggior parte degli studi di efficacia delle skill DBT sono stati effettuati reclutando persone con il disturbo borderline di personalità; tuttavia, le skill DBT sono state studiate in molte altre condizioni. Ad esempio, è stato dimostrato che le skill DBT hanno un certo grado di efficacia, da sole o in combinazione con altre terapie comportamentali, per condizioni come le seguenti:

      • calo dell’umore e stati depressivi;
      • ansia e fobie;
      • uso e abuso di sostanze e/o comportamenti;
      • comportamento alimentare non idoneo

      E in popolazioni diverse, come ad esempio:

      • popolazione carceraria;
      • persone con disabilità anche gravi;
      • familiari di persone con disturbo borderline di personalità;
      • studenti di ogni ordine e grado con difficoltà di apprendimento e/o di socializzazione.

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